La Rete: vetrina o fabbrica? Intervista a Michele Mezza

par Grazia Gaspari
giovedì 17 febbraio 2011

Un racconto indiano narra la storia di un leone salvato dalle pecore. Un cacciatore uccide la madre. Lui si salva ma è troppo piccolo per sopravvivere. Passa un gregge e una pecora che ha perso il suo agnellino lo adotta. Il cucciolo cresce col gregge e quel che il gregge fa, lui fa. 

Si sente una pecora a tutti gli effetti.

Un giorno il gregge si ferma a bere in un lago. Il leone si affaccia e vede riflessa nellâacqua la propria immagine. Colpito emette un urlo, ma con grande meraviglia di tutti, dalla la sua gola non esce un belato ma un ruggito possente. Eâ così che prende coscienza di chi è realmente: non una pecora, ma il re della foresta.

Vale per noi, che per quanto fruitori ed estimatori della Rete, la percepiamo ancora come appendice, se volete: pecora. Invece non è un medium qualunque, ma la regina dei media.

E lo spiega bene Michele Mezza, giornalista Rai, docente di Scienza della comunicazione all’università di Perugia e di Roma, nel suo ultimo libro: “Sono le news, bellezza!” Donzelli editore.

Ne abbiamo parlato direttamente con lui. 

Michele, un'idea di fondo gira, appunto, per questo libro: la rete non è una vetrina, ma una fabbrica, e chi non lo capisce la subisce e non la sfrutta nelle sue vere potenzialità. Cosa comporta praticamente? 

In politica, ad esempio, molto. Proprio in questi giorni abbiamo sotto i nostri occhi una straordinaria storia della rete: la rivoluzione egiziana. Al Cairo, come a Tunisi, si è visto che la rete non è solo un megafono, ma è opratutto un soggetto sociale, un luogo che forma identità e bisogni. In piazza e' scesa la “gioventù connessa” egiziana che rivendicava spazi alle proprie ambizioni.

La stessa cosa vale per la grande manifestazione della donne di domenica scorsa "Se non ora quando?", una manifestazione sostanzialmente preparata e sbocciata in rete. Nessun giornale o tv ne aveva parlato, nessuna agenzia di stampa. Eppure un milione di persone sono scese in piazza in tutta Italia. Non solo, decine e decine di manifestazioni si sono svolte in tutto il mondo... Tokio compresa.

Già Obama ci aveva raccontato una storia simile con la sua imprevedibile avventura elettorale, e anche con la sua crisi di consenso, maturata anch'essa sulla rete.

In Europa, e in Italia, vediamo invece una cautela della politica che capisce che la rete non è un gioco per dilettanti, ma un rischio per chi non vuole mettersi in discussione.

L'esperimento avviato da Futuro e libertà in questi giorni, con una piattaforma on line del partito mi pare interessante. Ma ripeto, a mio parere la rete e' come la fabbrica nel secolo scorso: un luogo di identita' sociale e non uno strumento occasionale.

 

Ad un certo punto, mi sembra nel secondo capitolo, citi una frase di Bernardo di Chartres "Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane” Poi, a questa contrapponi "Sulle gambe di infiniti nani" per rappresentare il fenomeno Rete che, a tuo parere, riprende un filone della storia umana che fu interrotto dal solo fordismo. Allora ti chiedo, nani o giganti?

Siamo nel tempo dei nani. Siamo nel tempo della crisi dei mediatori. Saperi, competenze e informazioni si sono liberati dai mediatori.

E' il motivo questo che ha permesso il decollo dei paesi del terzo mondo e la penalizzazione delle grandi potenze.

Bernardo da Chartre, grande analista del suo tempo, oggi sarebbe un ingegnere di Google e guiderebbe la digitalizzazione delle librerie del mondo.

I giganti sono una razza in estinzione come i dinosauri, scomparsi per una drastica mutazione ambientale.

 

 

Ho notato che ricompare anche in questo libro la figura dello “spettautore” che tu hai già posto al centro dell'altro lavoro "Gli uomini dietro gli specchi". Perché è così importante questa figura?

l giornalismo è la lente d'ingrandimento per capire casa accade nel mondo digitale. La crisi dei giornali e la marginalizzazione dei giornalisti sono la conseguenza dell'avanzata dei nani.

Oggi, in media, i lettori sono più preparati e sopratutto più attrezzati tecnologicamente dei giornalisti.

I mediatori sono surclassati dai mediati. Bisogna cambiare il modello industriale delle news, ed ottimizzare al meglio la risorsa dei propri lettori, come AgoraVox sa bene.

 

In quanto giornalista hai ormai immagazzinato nel tuo DNA professionale la notizia in quanto tale e proprio il destino delle news è il cuore di questo tuo libro. Allora, cosa pensi dell'idea di Murdoch di fare un giornale per l'IPad soltanto, escludendo il resto della rete?

La mossa di Murdoch è in linea con la strategia del vecchio ma arzillissimo magnate: valorizzare il giornale come brand di una lunga filiera di prodotti, di cui la versione cartacea e' una delle tante.

Trasformando i lettori in viewspapers, credo che Daily, come tutto il mondo delle app di Aple sia destinato ad esaurirsi in poco tempo. La rete non tollera staccionate.

La net neutrality al momento si e' rivelata più' forte degli istinti predatori. Piuttosto trovo scandaloso che anche in Italia enti pubblici, comuni, perfino la Rai, lavorino per realizzare app per I Pad quando questo device pretende per funzionare che io gli comunichi preventivamente il numero della mia carta di credito.

E' come se al ristorante prima di farci sedere il cameriere ci chiedesse di pagare.


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