La Procura di Roma chiede l’archiviazione per Fini. Se Berlusconi si fosse comportato come lui...

par Voltaire
mercoledì 27 ottobre 2010

Ieri i magistrati della procura di Roma hanno chiesto l’archiviazione per Gianfranco Fini, nell’ambito della vicende della compravendita dell’appartamento di Montecarlo, venduto da AN nel 2008. Il fascicolo era stato aperto dopo la segnalazione di due militanti della Destra di Storace che ravvisano nell’accaduto gli estremi per indagare di truffa il Presidente della Camera, e l’ex tesoriere di AN Francesco Pontone presunti colpevoli di aver avallato quella vendita per un prezzo non congruo. Dopo la contestata vendita, l’appartamento in rue de Princesse era finito in affitto a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini.

Questo episodio, da agenzia immobiliare, ha tenuto banco per mesi sulla stampa italiana. I principali giornali schierati con il centrodestra hanno attuato per tutto il corso dell’estate 2010 una martellante campagna mediatica che aveva come fine dichiarato le dimissioni da Presidente della Camera di Gianfranco Fini. Quest’ultimo fin dall’inizio ha sempre sostenuto che non ravvisava nei suoi comportamenti un motivo valido per determinare le sue dimissioni, e che avrebbe dismesso il suo incarico qualora la magistratura avesse ravvisato nei suoi atti una condotta irregolare.

Il comportamento del presidente della Camera ci era sembrato corretto in quanto con la propria iniziativa salvaguardava l’istituzione che tuttora ricopre e la magistratura che necessariamente doveva indagare su quanto accaduto.

Questo atteggiamento di fiducia nella magistratura è stato totalmente assente invece, sin dall’inizio della sua carriera politica in Silvio Berlusconi.

Dobbiamo chiederci infatti, se il Cavaliere avesse assunto lo stesso comportamento di Gianfranco Fini nei confronti della magistratura, la storia italiana avrebbe assunto lo stesso corso che ha intrapreso negli ultimi sedici anni?

Se Silvio Berlusconi invece di fuggire automaticamente a tutti i giudizi e i controlli a cui un personaggio pubblico è soggetto, limpidamente avesse accettato che si fosse fatta chiarezza nelle varie vicissitudini che hanno contribuito a creare il suo enorme impero finanziario, la seconda Repubblica avrebbe avuto un bilancio molto più proporzionato alle aspettative.

Se invece di invocare la magistratura politicizzata, le toghe rosse, gli scudi giudiziari, le leggi ad personam, i lodi, i legittimi impedimenti, la ragionevole durata dei processi l’attuale presidente del consiglio avesse pronunciato tre semplicissime parole “Indagate e vedremo”, avremmo potuto toccare veramente con mano la “rivoluzione liberale”.

Senza perdite di tempo, senza che il governo ed il parlamento italiano, fossero per mesi e anni, inchiodati a discutere provvedimenti, inutili e a volte nocivi per la collettività.

I casi sembrano due. Terribilmente soltanto due. O il Presidente del Consiglio è un vigliacco e teme come tutti i mortali il giudizio implacabile della Legge, e quindi fugge dinanzi ai processi che lo vedono coinvolto. Invocando come unico giudice, l’entità che riesce meglio a ingraziarsi e manipolare, il popolo.

Oppure il Cavaliere è cosciente di essere colpevole di alcuni dei reati che gli vengono contestati e cerca in tutti i modi che i suoi processi non giungano a compimento.

E’ questa la tragica conclusione del “Caso Fini” che montato ad arte da giornali amici, per far fuori il personaggio politico attualmente più capace di sbarrare il passo al cammino trionfale del Cavaliere, si sta rivelando un efficacissimo elemento per evidenziare le incoerenze tra due persone che ricoprono incarichi pubblici.

Uno in buona fede consente che si faccia luce sul proprio operato, l’altro pur di continuare a rimestare nel torbido tenta di oscurare anche il sole.


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