La Patria di Renzi

par clemente sparaco
lunedì 19 maggio 2014

 
È notizia del 14 maggio che il premier Renzi annuncia la leva "per la difesa della patria". Accanto al servizio militare tradizionale il governo pensa di istituire un "Servizio civile nazionale universale" per garantire ogni anno a 100mila giovani di poter svolgere il servizio civile.
 
L'annuncio è interessante, ma rischia di perdersi nella miriade di annunci che il giovane premier ha prodotto nel corso dei quasi tre mesi di Presidenza del Consiglio, per non dire del periodo che lo ha immediatamente preceduto. È interessante, preciso, semanticamente per l'uso di una parola, Patria, ormai obsoleta, se non contraria al politically correct. Per di più si parla di una difesa della Patria, reintroducendo quelli che sembrano desueti miti risorgimentali, se non addirittura fascisti (si pensi al periodo delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni all'epoca della guerra di Etiopia). 
 
Ma se Renzi vuole difendere la Patria, inizi a difenderla dalle ingerenze dell'Europa che nel 2011, come ha rivelato l'ex segretario al Tesoro Usa Tim Geithner nel suo libro di memorie "Stress Test. Riflessioni sulla crisi finanziaria" appena pubblicato, hanno provocato la caduta del governo Berlusconi liberamente e legittimamente eletto dagli Italiani. Se si parla di Patria bisogna essere, infatti, in grado di parlare al di là delle differenze dei partiti e degli interessi di partito. Recuperare il senso autentico di un'appartenenza ad una Patria, che è qualcosa di superiore al partito (che esprime com'è nella definizione una visione necessariamente di parte), è qualcosa che effettivamente urge oggi in Italia. 
 
Oggi, infatti, che una quotidianità vacua ed intemporale, quella dei rotocalchi e del pettegolezzo, sembra essersi sostituita alla storia, questa parola, che richiama un passato denso di valori contrastanti e segnato da tragedie epocali, sembra necessariamente inattuale. Il nostro è il tempo della crisi delle comunità, della fine della politica fondata sulle passioni capaci di accomunare gli individui in nome di un'idea e di un progetto comune. Ai popoli e alle classi sono state strappate di mano le bandiere e i grandi proclami, in nome dei quali cambiare il mondo e la storia, non si fanno più. All'individuo è stata lasciata una libertà indifferente che convive con la destrutturazione di senso e la crisi di ogni altro ideale. 
È sintomatico allora che in questi nostri tempi, in cui si fa un uso leggero delle parole, si rischi di svalorizzare ancora di più quella parola (Patria) riducendola ad uno slogan o, peggio ancora, ad uno spot elettorale.
 
 
Foto: Carlo Nidasio/Flickr

 


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