La Partecipazione Politica
par Damiano Mazzotti
mercoledì 18 marzo 2009
La partecipazione dei cittadini è un concetto centrale della vita sociale di oggi che viene espresso in termini chiari e precisi nel libro “La partecipazione politica” di Francesco Raniolo (il Mulino, 2002).
Cosa significa Partecipare? “Partecipare implica la possibilità di scegliere da parte del cittadino tra opzioni che gli sono proposte piuttosto che imposte. Ma partecipare in democrazia richiede spesso il darsi un’organizzazione e anche di più: gli individui devono essere stimolati, provocati, mobilitati (in maniera autonoma e spontanea) almeno per la durata di una certa attività” (p. 22).
La partecipazione deve diventare un fine in sé, cioè non deve diventare solo un mezzo per conseguire altri scopi: la protezione degli interessi o la selezione della classe politica. Piuttosto l’azione partecipativa è già in sé un valore (Teoria dello Sviluppo di Perry, 1972).
“L’impegno politico rende i cittadini consapevoli non solo dei propri diritti, ma anche dei relativi doveri civici”: quindi partecipando si impara a partecipare (p. 17). E la partecipazione può avvenire con atteggiamenti o comportamenti che influenzano (in maniera più o meno diretta e più o meno legale) le decisioni dei detentori del potere politico, nonché la loro selezione, per agire sulla struttura e sui valori del sistema di interessi dominante (p. 26).
La partecipazione inevitabilmente solleva o risolve conflitti nella società e “accettando la visione lasswelliana della politica, cioè chi ottiene che cosa, quando e come (il gioco politico si risolve nella distribuzione dall’alto di risorse scarse in un gioco a somma zero), è inevitabile che l’impegno di un certo gruppo” ottenga dei benefici a spese di altri (le cose cambiano se il gioco è a somma positiva, dove tutte le parti guadagnano qualcosa). Il prendere parte può diventare quindi un dividersi, un parteggiare con questi, piuttosto che con quelli (p. 31).
Purtroppo i cittadini conoscono solo una realtà di riferimento illusoria basata sulla comunicazione pubblica dei media controllata dalla politica, che non è quella delle deliberazioni e delle decisioni politiche effettive (Pizzorno, 1996). Una cosa è quello che dicono di fare o di aver fatto, tutt’altra cosa è la realtà delle loro azioni... Cresce quindi l’importanza della scelta di persone con carisma (o di fiducia), delle politiche dell’immagine, degli esperti di comunicazione e dei sondaggi di opinione. Ne segue la centralità dell’attività di governo e la crisi del Parlamento: cresce la negoziazione tra i gruppi di interesse, la discussione nei media e l’elettorato fluttuante.
E il cittadino, con “l’azione magica del voto”, pensa di entrare in un “Club Speciale” senza far fatica: basta crederci e l’effetto placebo rende davvero più felici. Solo i guastafeste non capiscono (Ugo Volli, La comunicazione politica tra prima e seconda repubblica, Franco Angeli, p. 198).
P. S. La teoria politica dovrebbe essere una scuola di vita che affina le capacità di giudizio e non il sostituto di quest’ultima (Aristotele). La pratica politica dovrebbe mitigare la confusione in cui viviamo, eliminando gli inevitabili errori che la sempre più complessa convivenza umana produce.