La Mogherini e l’autodeterminazione dei popoli

par Fabio Della Pergola
lunedì 10 novembre 2014

Alla fine la nuova ministra degli esteri di un ministero di fantasia - quello europeo - ha dato il suo parere favorevole al riconoscimento dello stato di Palestina.

In nome, si suppone, del sacrosanto diritto all’autodeterminazione dei popoli.

L’ha fatto quindi a prescindere dalle possibilità reali di una annosa e difficilissima trattativa, ma deve aver pensato che qualunque cosa dica l'Europa non avrà alcun peso nel drammatico botta e risposta fra i due contendenti in loco, visto che nemmeno l'amministrazione americana ne ha avuto alcuno.

Se, quindi, questo è ciò che l’Europa ritiene giusto fare, non possono sussistere dubbi che, a ruota, per par condicio, l’onorevole Mogherini andrà a Mosca a sostenere il diritto all’indipendenza della Cecenia, del Daghestan e dell’Inguscezia. Tanto per dire.

Poi - passando dal Caucaso dove sosterrà la causa (certa di non sbagliare) di tutti quelli che trova, che siano armeni, azeri, georgiani o altro a scelta - sbarcherà a Pechino per esprimere il suo appoggio alla causa tibetana, poi in Iran, Turchia, Siria e Iraq (con una puntata presso i maggiorenti del Califfato) a dire che l’Europa appoggia - finalmente! - anche il riconoscimento di un Kurdistan indipendente.

Quindi tornerà in Iran a sostenere la causa dei beluchi, ma dovrà anche rientrare in medio oriente perché si era scordata delle tante minoranze etniche, linguistiche, culturali o religiose lì presenti spesso da secoli se non da millenni; vale a dire drusi, beduini, assiri, circassi, turkmeni, copti, zoroastriani, giacobiti, caldei, nestoriani e maroniti più un numero indefinito di sottosette di cui poco si sa: tipo gli yazidi.

Dopodiché volerà, di nuovo, a Pechino per esprimersi in favore degli uiguri. E da lì una rapida trasvolata la porterà a parlare con passione della comunità dei nativi aborigeni e dei torti loro subìti, applaudita con calore dai benpensanti anglofoni che applaudono sempre, in preda a delirio da political correctness, per i diritti dei popoli (ma poi fanno come gli pare, in giro per il mondo, con tipica tracotanza di bombardevole stampo imperiale).

Non mancherà un saluto dal finestrino dell’aereo, diretto agli indipendentisti di Giava, Indonesia, Filippine e ai Tamil dello Sri Lanka e quant'altri vivessero in quelle lande sconfinate con indomite idee separatiste.

Un pisolino ristoratore durante la lunga traversata ed eccola in Marocco dove, se non la sbattono in galera grazie alla sua carica diplomatica, esporrà le sue ragioni a sostegno della lotta del popolo saharawi. Un saluto a distanza al popolo del martoriato Darfur e, visto che è in zona, non mancherà di mostrare una contenuta simpatia per i berberi del Maghreb e per il popolo tuareg (“quei fantastici uomini blu!” dirà in seguito con un fremito un po' scomposto delle lunghe ciglia), senza scordarsi di mandare il suo omaggio cordiale agli indipendentisti delle Canarie.

Da lì una rapida traversata dello stretto di Gibilterra la farà sbarcare in terra di Spagna dove sarà lieta di inneggiare all’indipendenza del popolo basco e, a seguire, della Catalogna, della Galizia e delle Asturie.

Qualche ora di riposo in traghetto e la mattinata successiva la vedrà ad Ajaccio a dialogare, sempre con dignitosa empatia, degna del suo rango, con gli indipendentisti mascherati del Fronte di liberazione corso; dopodiché si concederà una giornata di shopping in Costa Smeralda - con visita a sorpresa presso la sede di Su Partidu Sardu Indipendentista Sotzialista Libertariu - e poi via, un’altra fantastica avventura nientemeno che nella culla dei diritti umani, quella Francia continentale, laica e (una volta) progressista, in cui le tendenze separatiste dei bretoni fanno da atavico e speculare contraltare a quelle degli occitani. Ma senza scordare le ambizioni indipendentiste della lontana - e non si sa perché ancora francese - Nuova Caledonia.

Una comodissima linea ad alta velocità la trasporterà poi, in men che non si dica, al di là della Manica dove, nella comoda hall di un grande albergo nel cuore della City si incontrerà con i rappresentanti del Plaid Cymru e del Meybon Kernow rispettivamente partiti indipendentisti del Galles e della Cornovaglia, cui si aggiungeranno, con un po’ di ritardo per via della distanza maggiore, gli irriducibili dell’Ira nordirlandese e del partito indipendentista scozzese che ha da poco mancato, ma non di molto, il successo al referendum separatista.

Assicurato a tutti i disgregatori della Gran Bretagna l’appoggio suo, come Lady Pesc, e di un’entità politica, da quelle parti poco conosciuta, chiamata Unione Europea, tornerà finalmente sul continente dove, en passant, garantirà il suo favore ai separatisti fiamminghi di quell’ente astratto noto alle cronache geografiche come “Belgio” e proseguirà in direzione est dove, nell’ordine, si esprimerà a favore dell’indipendenza dell’Ucraina dall’URSS (ma le suggeriranno che, visto che l’URSS non esiste più, l’Ucraina risulterebbe già indipendente da tempo), della Crimea dall’Ucraina (ma le dicono che è un dato di fatto ormai acquisito anche questo) e delle repubbliche autoproclamatesi indipendenti di Donetsk, di Luhansk e di Kharkiv (ma le diranno di lasciar perdere perché Berlino non vuole e la Merkel s'incazza facile).

Ripiegherà allora sull’autonomia del quartiere russo di Mariupol - città natale del noto (?) calciatore BaltaÄa - da quello ucraino (o era viceversa?) e di alcuni condomini russofoni di Kiev dai loro dirimpettai ucraini. Solo a questo punto verrà interrotta dal suo medico di fiducia che le consiglierà un rapido ritorno a casa.

Sulla via del ritorno assicurerà a sloveni, croati, serbi, bosniaci, kosovari, montenegrini e macedoni, e perfino ai serbi della Republika Srpska, il suo appoggio incondizionato alle rispettive indipendenze (ma rassicurando i macedoni di Grecia che loro sono un'altra cosa) e se ne andrà solo quando qualcuno la informerà delicatamente che tutto ciò sarebbe già stato sistemato da tempo e che lei soffre ancora un po’ della persistente “sindrome di Kiev”.

All’arrivo, già dalla scaletta dell’aereo, non mancherà di sostenere la causa dei profughi italianofoni dell’Istria e della Dalmazia, acconsentirà alle ragioni dei francofoni della Val d'Aosta e del popolo sudtirolese di lingua e cultura tedesca e annuirà pensierosa alle rimostranze della Liga Veneta, pensando forse che, in fondo, la Serenissima fu cosa più seria e longeva di questa tremebonda e incolore italietta del XXI secolo.

Uno scatto d’orgoglio le impedirà di solidarizzare con quel becero provocatore di Matteo Salvini e tremante di sdegno farà un gran bel discorso in difesa dell’indipendenza del popolo rom, che però non l’ha mai chiesta e sostanzialmente se ne strafotte di essere più indipendente di quanto già non sia.

Quindi, stremata e pallida si accascerà, alla buon’ora, sul divano di casa con un buon thè caldo, fumante sul tavolino che l'amorevole consorte le avrà preparato; pensando con orrore che prossimamente dovrà andare nell'Africa subsahariana e nelle Americhe dove il numero dei calpestatissimi diritti all’autodeterminazione dei popoli è così lungo che hanno dovuto elencarli in ordine alfabetico in un’apposita edizione speciale del Book of the People.

D’altra parte, si chiederà (e ce lo chiediamo anche noi), perché i palestinesi sì e tutti gli altri no?

N.b.: tutti i popoli e i movimenti citati NON sono frutto di fantasia. L'autore si scusa per probabili quanto involontarie dimenticanze.



Foto: Palazzo Chigi/Flickr


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