La Magna Grecia arriva fino a Roma

par Maurice
giovedì 6 maggio 2010

Il primo ministro greco Giorgio Papandreou (socialista) ha accusato il precedente governo Karamanlis (centrodestra) di aver truccato i bilanci, e ne sono convinti 83 greci su cento. Da qui sarebbe partita la crisi che ha investito il paese ellenico (fosse solo questa la causa, almeno ci sarebbe qualcuno che paga nelle patrie galere).

Non è una novità che ogni nuovo governo addossi al precedente misfatti e colpe di grane che non sa come risolvere: successe anche da noi con i presunti "buchi" di bilancio dei governi Prodi e Berlusconi. Sotto questo profilo tutto il mondo è paese. Si tratterebbe di vedere quanto corrisponde al vero e quanto è pura propaganda, ma non è questo che ci interessa.

Anche l’Italia partecipa al salvataggio della Grecia con 5,5 miliardi di euro e sarebbe interessante sapere da dove sbucano questi soldi, visto che il nostro governo ha tagliato i fondi su tutte le materie più importanti (scuola, ricerca, cultura...) senza affrontare una riduzione del carico fiscale, mai stato così alto.

Ma l’Italia è uno dei PIGS o PIIGS, quei paesi cioè - Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna - sotto la lente d’ingrandimento delle agenzie di rating, quelle che fanno il bello ed il cattivo tempo, attribuendo le stellette di solvenza o insolvenza ai vari Paesi. Secondo uno che se ne intende,

La posizione italiana, in questa crisi, è fatta di poche luci e molte ombre. Le luci derivano dal fatto che noi abbiamo uno squilibrio dei conti con l’estero complessivamente assai minore rispetto ai paesi oggi bersagliati dai mercati finanziari, ed abbiamo anche meno stock di debito estero, oltre ad un tasso di risparmio interno soddisfacente. Le ombre derivano dalla nostra storica incapacità a crescere. Il problema dei problemi, quello che sta rapidamente portando i nodi al pettine, è l’insufficiente crescita economica del dopo-crisi. Il Pil cresce meno del costo del debito, che rischia quindi di incamminarsi su una traiettoria esplosiva. Questo è il problema italiano, unitamente al fatto che l’andamento dei nostri costi unitari del lavoro appare sinistramente simile a quello dei paesi oggi al centro della crisi.

Ma l’Ocse non sembra dello stesso avviso: in una nota "rileva che la regolamentazione dei mercati di prodotti è oggi al livello di quella dei Paesi vicini, come la Germania, l’Austria e la Francia", grazie a "misure di riforma e liberalizzazione (introdotte dal governo precedente, NdA)" che sono state "portate a buon fine" e all’abrogazione di "un certo numero di disposizioni legislative inutili" e alle riforme che hanno "facilitato la creazione di imprese (sempre meno comunque di quelle che chiudono, NdA)". "Stimiamo - scrive ancora l’Ocse - che gli sforzi compiti per alleviare gli oneri amministrativi hanno permesso alle imprese (italiane) di risparmiare più di 4 miliardi all’anno", cosa di cui Confindustria non sembra molto convinta.

Difficile dire chi ha ragione. La sensazione epidermica è che qualcuno trucca le carte, sotto il Colosseo come sotto al Partenone.


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