La Lega Nord e l’opzione “exit” di Albert Hirschman

par Bernardo Aiello
martedì 11 gennaio 2011

Il gran clamore mediatico sul sostanziale rifiuto della Lega Nord di unirsi alle celebrazioni per i centocinquanta anni dell’Italia unita dà lo spunto per una più ampia riflessione su quella che ormai si manifesta come una crisi dello schema sociale e politico illuministico continentale.

Il fatto di partenza è noto: ormai da anni nelle regioni settentrionali del Paese una schiera sempre più numerosa di cittadini ha constatato un tale deterioramento delle Istituzioni che non ha più ritenuto di doversi opporre ad esso utilizzando l’opzione “voice” di Hirschman, bensì l’opzione “exit”. Albert Hirschman, economista tedesco di origine ebraica emigrato negli Stati Uniti, ha definito queste due opzioni nel saggio Lealtà, defezione, protesta (editore Bompiani, reperibile nelle biblioteche piuttosto che acquistabile nelle librerie), indicandole come le due vie percorribili per il singolo (consumatore o cittadino o altro ancora a seconda dei casi) dinanzi alle discrasie ed ai malfunzionamenti di organizzazioni complesse quali società commerciali, sindacati, partiti politici e così via. L’opzione “voice” consiste nella pubblica protesta per sollecitare la dirigenza dell’organizzazione a cambiare la sua gestione; l’opzione “exit” consiste nel cambiare organizzazione. Nel nostro caso i cittadini delle regioni settentrionali si sono contrapposti polemicamente all’organizzazione “Stato” ed hanno deciso di volere cambiare organizzazione utilizzando l’opzione “exit”.

A parere del vostro cronista questo fenomeno deve anche essere considerato all’interno della crisi dello schema politico e sociale continentale, nato dalla Rivoluzione Francese e dall’Illuminismo, e che è stato oggetto più degli studi degli economisti (come Hirschman, Kenneth Arrow e Amartya Sen ad esempio) che dei politologi.

L’Europa uscita dal Medio Evo era un insieme di Stati sovrani dominati dall’assolutismo (ivi compreso quello della Chiesa di Roma), sino a che due eventi (la Riforma di Martin Lutero e la Rivoluzione Francese) non la scossero dalle fondamenta. L’Illuminismo fu il movimento culturale e filosofico che guidò questo repentino e profondo cambiamento. Esso si sviluppò a seguito della Rivoluzione Francese e, semplificando al massimo, ebbe tre seguiti: il liberalismo (che si contrappose all’assolutismo), il socialismo (che si contrappose al capitalismo) ed il totalitarismo del Novecento (fascismo, nazismo, franchismo, stalinismo, e così via).

Queste tre tendenze, fra di loro contraddittorie, si sono spesso e volentieri contrastate e contrapposte, sino alla totale espulsione dell’ipotesi totalitaria: oggi non è rimasto in pratica nessun regime totalitario in Europa. Le altre due tendenze, quella liberale e quella socialista, si sono invece completamente realizzate e consolidate ed hanno perso quasi tutta la loro carica innovativa. Oggi non si ha più un partito liberale perché tutti i partiti lo sono nel senso della loro piena adesione alla regola democratica; oggi non si ha più un partito socialista perché tutti i partiti lo sono nel senso della loro piena adesione alla tutela del lavoro come valore in sé.

Lo schema illuminista è diventato quello che possiamo vedere al meglio in Francia, dove abbiamo una bipolarità fra il citoyen, titolare di diritti e di doveri, e lo Stato con le sue Istituzioni, i suoi gran commis formati nelle formidabili Scuole Superiori e così via. Il tutto con una visione quasi sacrale sia del citoyen sia dello Stato.

Fra questi due poli, però, ed è questa la vera causa della crisi attuale dello schema politico-sociale illuministico, esiste un abisso; quello messo in luce e studiato dagli economisti sopramenzionati. Provate a rivedere il capolavoro di De Sica e del realismo italiano Ladri di biciclette e la toccante immagine finale del protagonista e del figlioletto che si prendono per mano. Certo, appena gli avevano rubato la bicicletta il protagonista era andato in Questura; per constatare che nessuno si sarebbe mai occupato del furto di una semplice bicicletta e del problema insormontabile che gli causava. Eppure a nessuno e per nessun motivo è consentito farsi giustizia da solo, la giustizia è compito esclusivo dello Stato.

E’ su questa crisi latente dello schema politico-sociale illuministico che, in Italia, si è innescato il fenomeno del leghismo; anche perché da noi l’Illuminismo è più fragile perché è giunto tardi, male e, quel che più conta, con gradazione ben diversa fra le regioni settentrionali e quelle meridionali, queste ultime rimaste anche oltre l’Unità in condizioni di quasi feudalesimo.

Stando così le cose, non hanno molto senso gli inviti ai leghisti a partecipare ai festeggiamenti per questo Stato da cui essi vogliono fuoriuscire: perché questo avvenga bisognerebbe convincere questa immensa fiumana di cittadini settentrionali a passare dall’opzione “exit” all’opzione “voice”, ossia a formalizzare le loro proteste alla classe politica con l’obiettivo di cambiare il funzionamento delle Istituzioni. Il federalismo fiscale, ad esempio, serve proprio a questo, ma non è certamente sufficiente. Bisognerebbe, anzi, consentire sempre e comunque al cittadino di seguire utilmente l’opzione “voice”: esistono anche forme sanguinarie di opzioni “exit”, come quella terroristica, che il nostro Paese ha avuto modo di conoscere e di esecrare durante gli “anni di piombo”.


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