La Giustizia ingiusta. Cacciata dal tribunale perché indossava il velo

par Fabio Della Pergola
martedì 15 maggio 2012

Spesso si chiede ad una qualche istituzione pubblica di essere “più umana”. La logica di questa richiesta sfugge ad una definizione precisa e non può che essere lasciata alla ‘sensazione’ individuale di ciò che è umano e di ciò che non lo è. Tanto più se parliamo della Legge e della sua applicazione.

Naturalmente là dove i termini esatti sfumano, si aprono spazi anche per interpretazioni di comodo, le maglie diventano troppo strette o troppo larghe, possono esserci abusi o forzature di senso. Anche ingiustizie se un caso e un altro, che possono risultare simili, sono interpretati diversamente.

Insomma ci troveremmo in una situazione pre-illuministica, quando a decidere la pena o l’assoluzione, senza motivazioni, era l’arbitrio del monarca o di chi per lui. La ragione illuministica cercò di risolvere il problema stilando con puntigliosa determinazione delle regole precise, violando le quali si potevano definire con esattezza le pene. In fondo la strada in questo senso era già stata aperta dal Codice di Hammurabi, tanti tanti tanti anni fa.

Così la società usciva, si pensava, dall’arbitrarietà della volontà umana ed entrava nell’anonimo rigore matematico della “volontà” della Legge. Uguale per tutti e super partes.

Sappiamo tutti che è una bufala per ampie sacche di reati o di imputati. Abbiamo sotto gli occhi il caso del ragazzo accusato di aver rubato un ovetto kinder e, all’altro estremo, il caso di un signore multimiliardario che faceva cambiare dal Parlamento le leggi dello Stato e manipolava le sentenze dei tribunali, corrompendo i giudici, per adattarle alle sue esigenze di lestofante (parlo dell’ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra, cosa credevate ?).

Ma al di là di casi controversi o macroscopici, credo che ci sia un vasto territorio in cui il normale buon senso può prevalere e la definizione di legge “più umana” diventa comprensibile e condivisibile dai più.

Ci sono invece casi in cui la rigidità inumana del diritto si erge sovrana a dominare il piccolo mondo di un’aula di giustizia.

E’ il tribunale di Torino e il caso non riguarda l’imputato, ma una giovane interprete, Fatima, chiamata a dirimere una controversia circa una traduzione dall’arabo.

Essendo una donna rispettosa delle usanze islamiche, si presenta a prestare la sua opera con il capo coperto dal velo. Non si tratta di quella sacca chiamata burqa che copre tutto il corpo occultando le fattezze di chi la indossa; in questo caso sarei d’accordo anch’io che una persona totalmente nascosta, e perciò non identificabile, non possa entrare in un’aula di tribunale. Provate a entrarci indossando un casco integrale e sarete ovviamente fermati e identificati.

In questo caso si trattava solo di un foulard a copertura dei capelli che lasciava tutto il viso scoperto, ma il giudice - Giuseppe Casalbore (nella foto) noto per il maxiprocesso Eternit - è stato irremovibile. O via il velo o via lei. E lei se ne è andata.

L’implacabile difensore dello Stato si è giustificato dicendo “Ho applicato la legge, che per le udienze pubbliche prevede che si stia in aula a capo scoperto. La legge è uguale per tutti".

Adesso, mi chiedo, è una questione di imparzialità della legge o di umana incapacità di distinguere le questioni fondamentali da quelle irrilevanti ? Giustamente altri hanno fatto osservare che la legittima pretesa di chiedere il rispetto dell’istituzione si è sempre (ovviamente) fermata davanti alle suore con il velo, a ebrei ortodossi con la kippà o a donne sottoposte alla chemio, interpretando “umanamente” la norma.

Lasciare quindi che una ragazza araba indossi il velo che le incornicia graziosamente il volto, sarebbe stato un banale atto di sensibile e moderata violazione della rigida norma che impone di togliersi il copricapo in segno di rispetto (ma per le donne non si usa il comportamento opposto ? quando entrano in Chiesa non si coprono la testa con un velo - in segno di umiltà - mentre gli uomini al contrario si tolgono il cappello in segno di deferenza ?).

In ogni caso, lasciar correre avrebbe avuto davvero il significato che la giustizia italiana stava precipitando in una incontrollabile dimensione preilluministica ? Che si rischiava di perdere così la certezza del diritto ?

Nel dubbio pare che il presidente del Tribunale abbia sottoposto il quesito al CSM, il Consiglio Superiore della Magistratura, "data la difficoltà e delicatezza della materia, perché precisi a quali regole debba attenersi il magistrato che dirige l'udienza, sia civile che penale, onde poter fornire ai giudici del Tribunale indicazioni per una condotta uniforme e rispettosa dei diritti individuali della persona"

Di fronte ai numerosi ed eclatanti casi di malagiustizia, di violazione delle norme di legge, di interpretazioni bislacche del codice, dei tempi insostenibili e inaccettabili, dei costi assurdi eccetera eccetera eccetera, l'unica ferrea, implacabile rigidità applicativa sembra essere, per ora, quella che riguarda Fatima, ragazza islamica irrispettosa della suprema e intangibile Legge della Repubblica Italiana.

Adesso, alcuni altissimi magistrati, dagli stipendi d'oro, dovranno passare il loro (costosissimo) tempo a discutere se una qualsiasi ragazzetta può o non può portare un foulard sulla testa quando entra in un'aula di tribunale.

Ma fateci il piacere.


Leggi l'articolo completo e i commenti