La Fornero sull’art. 18: senza un nesso

par Zag(c)
martedì 20 marzo 2012

Se si è ascoltati la Fornero (la ministra con la lacrima sul viso) si sarà capito, almeno io mi sono convinto che o ci fa o ci è. 

Il suo linguaggio e le sue teorie sono talmente fumose, teorie prese direttamente dall'ideologia (altro che tecnica asettica!) così fuori dalla realtà che parla di possibilità di licenziare, di come oggi il problema non siano proprio i troppo facili licenziamenti, senza nessun controllo, senza nessuna verifica, i troppi ricorsi alla cassa integrazione o cassa in deroga, magari per far continuare a far campare l'azienda in attesa di una ripresa che si spera verrà.

Parla dell'art. 18 senza che né lei né la maggior parte di chi ne parla l'abbia mai letto. Infatti basti riferirsi ai licenziamenti economici che l'articolo vieterebbe! Ma quando mai! E tutti i licenziamenti che si hanno da qualche lustro a questa parte come avvengono, come sono avvenuti? Parla muovendo come un vigile urbano le mani e le braccia di flussi che entrano e che escono, la flessibilità in entrata e quella in uscita, come se dietro quelle parole non ci siano lavoratori, uomini e donne, che ogni giorno vengono licenziati e mai più assunti. Parla di libertà di licenziare per poter assumere. Parla di posto fisso da dimenticare e di non rimanere attaccati al lavoro come delle cozze. Non sa, perché nel chiuso dei suoi libri, che i lavoratori, se fosse possibile, sarebbero i primi a lasciar il posto di lavoro se solo fosse possibile averne un altro; e non parliamo dei giovani, figuriamoci a 40 anni e oltre. 

Ma la contraddizione più stridente è che prima si dice che occorre incentivare la possibilità di dar lavoro ai giovani e poi si allunga l'età pensionabile a 70 anni. Ma non sarebbe più semplice lasciar liberi quei posti di lavoro, facilitando il pensionamento, dando così via libera ai giovani? Forse è troppo complicato per le loro menti di professoroni.

Ma qual'è la logica? Che in un momento di crisi e di recessione, anzi di una combinazione fra recessione e inflazione a livello europeo, se non mondiale, consentendo anche i licenziamenti di tipo discriminatorio, questo come per incanto farebbe crescere la domanda interna e consentirebbe lo sviluppo economico e quindi la crescita? Il nesso? Nessuno! E non occorre essere degli studiosi di economia per capirlo. Ma la dialettica retorica, pomposa, fumosa, frammista a termini tecnici e incomprensibili della Ministra dalla lacrima sul viso, vorrebbe farci credere che tutto questo è possibile!

Come per le pensioni. Ha tagliato via le pensioni d'un sol colpo, dicendo che erano un costo troppo oneroso per lo Stato e una disparità fra le generazioni. Intanto ha racimolato 3 miliardi di euro prese direttamente dalle casse dell'INPS, così risparmiati (ma non era un costo o era un salvadanaio dal quale prendere a man bassa?) e cosa ne ha fatto? Non certo li ha utilizzati per risarcire i precari (che sarebbe stato comunque un furto, ma almeno a buon fine) No! Li ha utilizzati per pagare dei derivati alla Morgan Stanley, li ha saldati anzichè rinnovarli, per i debiti dello Stato e non certo dei lavoratori, per pagare debiti contratti verso le Banche. Quindi, utilizzare soldi dei lavoratori (ricordiamoci che la pensione è salario differito, prelevato mensilmente dalla busta paga e accantonato) per pagare debiti verso le banche. E non erano state le banche, fino a qualche tempo fa, a detta proprio dei lor professoroni a creare la crisi? Non erano stati i banchieri, gli stessi che oggi si pagano i loro emolumenti con i soldi che lo Stato gli concede, con i loro comportamenti a creare la crisi? Ma questo non si dice.

E così per gli istituti di protezione dei lavoratori (protezione!): la cassa integrazione è anch'esso salario differito (cioè anch'esso è salario prelevato dalla busta paga e accantonato). Qual'è l' operazione che si vuol fare? Sempre per aiutare i giovani, la cassa integrazione viene estesa a tutti. Cambia il nome: ASP. In cosa consiste?
Sostanzialmente spalmare la quota della cassa integrazione oggi a disposizione nelle casse dell'INPS (ripeto, pagate dai lavoratori e imprese), invece che solo agli aventi diritti anche a tutti i lavoratori precari e non precari. Cioè la fiscalità dello Stato (che dovrebbe per statuto prevedere all'assistenza dei lavoratori, a tutti i lavoratori) non ci mette un euro (altro che paccata di miliardi), ma si segue il motto dividiamo la ricchezza e distribuiamo la povertà!

Allora due sono le cose:

Io penso che sia questo il vero obbiettivo! E in ogni caso o con il beneplacito dei sindacati o senza, comunque avrebbe vinto.

P.S. L'art. 18 prevede che sia possibile il licenziamento quando sussistono uno dei seguenti motivi:

Giusta Causa - La giusta causa è un inadempimento del lavoratore talmente grave da non consentire anche in via provvisoria la prosecuzione del rapporto di lavoro.-
L'art. 2119 c.c. prevede che il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, senza necessità di preavviso, qualora si verifichi appunto una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto medesimo. La giurisprudenza ha specificato che la giusta causa si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento risulti insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro, al quale non può pertanto essere imposto l'utilizzo del lavoratore in un'altra posizione.
La giusta causa non è rappresentata esclusivamente da comportamenti costituenti notevoli inadempienze contrattuali, ma può essere determinata anche da comportamenti estranei alla sfera del contratto e diversi dall'inadempimento, purché idonei a produrre effetti riflessi nell'ambiente di lavoro e a far venire meno la fiducia che impronta di sé il rapporto.

Giustificato motivo - Il giustificato motivo di licenziamento costituisce una causa di risoluzione del rapporto di lavoro e in base all'art. 3 della legge n. 604 del 1966, può essere soggettivo o oggettivo, cioè o riferito a comportamenti del lavoratore o ad esigenze prettamente aziendali.

Giustificato motivo soggettivo - Il giustificato motivo soggettivo si realizza quando il lavoratore incorre in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali: per la determinazione di tale nozione si fa riferimento all'art. 1455 c.c., la quale richiede, perché il contratto possa essere risolto, che l'inadempimento non abbia scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altro contraente.
Quello soggettivo dunque è un notevole inadempimento del lavoratore; si differenzia in ogni caso dalla giusta causa, che è invece un gravissimo inadempimento, in quanto consente la prosecuzione del rapporto sia pure nei limiti del periodo di preavviso. Al riguardo spesso i contratti collettivi individuano precisamente le ipotesi in cui può ricorrere il licenziamento per giustificato motivo soggettivo; in particolare essi elencano le infrazioni disciplinari, che per la loro gravità, sono ritenute tali da giustificare il licenziamento.

Giustificato motivo oggettivo - Il giustificato motivo oggettivo, in base all'art. 3 della legge n. 604 del 1966, è un motivo attinente all'attività produttiva, alla organizzazione del lavoro dell'impresa e al regolare funzionamento di essa. In tal caso non c'è un inadempimento del lavoratore, ma vi sono esigenze tecniche ed economiche dell'organizzazione produttiva che giustificano il provvedimento espulsivo.

E' comunque opportuno sottolineare che è carico del datore di lavoro provare la reale esistenza dei dedotti motivi di recesso, nonché la sussistenza di un concreto nesso di causalità fra detti motivi, oltre alla impossibilità di una diversa proficua utilizzazione del lavoratore licenziato.


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