La Fiat è della Chrysler: grazie Governo grazie!

par Camillo Pignata
giovedì 10 febbraio 2011

Sabato 12 Febbraio, Berlusconi e Marchionne si incontreranno per discutere dei destini della Fiat. Troppo tardi! I giochi sono già fatti. La Fiat è della Chrysler, e un 11% di Pil abbandona l’Italia. Prove documentali non ce ne sono ma la Fiat ha operato scelte incompatibili con una permanenza dell’azienda in Italia. Poi c’è stato l’annuncio di Marchionne dello spostamento a Detroit del quartiere generale dell’azienda torinese.

Non è un fatto di oggi. Risale ai tempi dell’accordo tra le due aziende benedetto e finanziato da Obama, dove la Fiat ha assunto, con il governo americano e gli azionisti di Chrysler, impegni per la sua incorporazione nella società americana.

Un accordo nato in una logica globale per la costruzione di un’impresa globale in cui la Chrysler è la casa madre, la Fiat una sua colonia. Attraverso la nota joint venture la Chrysler ha acquisito dalla Fiat la tecnologia avanzata e i mercati. La FIAT ha ottenuto dal governo americano quei finanziamenti necessari alla sua sopravvivenza che non ha ottenuto dal governo italiano. Il tutto sulla base di un intervento pubblico americano nell’economia, finalizzato a sviluppare, anche attraverso l’industria automobilistica, la green economy. La Chrysler, a fronte del finanziamento pubblico, si è impegnata a sviluppare, con l’aiuto della Fiat, auto a basso consumo e la macchina elettrica.

Un accordo che nasce dall’inerzia del governo italiano rispetto all’esigenza Fiat di far fronte alla competizione globale. L’azienda torinese è stata lasciata sola dal nostro esecutivo, che non ha messo un euro e neppure uno straccio di politica industriale per il settore auto. I soldi erano stati impegnati per l'Alitalia e per l’ICI prima casa, mentre sulla politica industriale neppure una parola. Modifica dell’articolo 41 della costituzione e quindi mani libere in fabbrica per l’azienda: questa la promessa di Tremonti ai tempi dell’accordo di Pomigliano.

Una promessa chiaramente insufficiente ed incoerente con la globalizzazione, dove non è dato ragionare in una logica di sopravvivenza ma di vittoria: o vinci o sei fuori dal mercato.

E la Fiat vince se fa un prodotto di qualità, se fa nuovi modelli, ciascuno concepito e ritagliato sul gusto dei consumatori del mercato di riferimento, se fa un prodotto nuovo se fa la macchina elettrica o la macchina all’idrogeno.

E per fare tutto questo ci vuole un intervento pubblico nell’economia, fatto di soldi e di politica industriale, che la Fiat non ha avuto in Italia, ma ha cercato e ottenuto negli USA. L’azienda di Detroit ha messo nel piatto, tramite il governo americano, 80 miliardi di dollari e si appresta a metterne altri 3 e ½ per la ricerca nel campo ecologico.

In questa situazione si è mosso Marchionne, quando si è accordato con la Chrysler per la annessione della Fiat.

Ora è chiaro che in un accordo tra due soggetti, dove uno mette sul tavolo i soldi e uno che non mette un euro, comanda chi mette sul tavolo i soldi. E’ impensabile dunque che la Fiat ,senza mettere un euro, abbia potuto acquisire una posizione paritaria con la Chrysler. Tutto ciò è stato accuratamente nascosto e si è presentato come accordo produttivo, un accordo di annessione. 

Eppure segnali indicativi di un processo di annessione c’erano stati. Qualche riflessione era possibile per svelare l’arcano.

Marchionne non ha mai rivelato ai sindacati la politica industriale alla base degli accordi di Pomigliano e di Arese.

La Fiat firma un accordo che prescinde dall’accordo interconfederale del settore metal meccanico. Marchionne annuncia di voler lasciare Confindustria. La Fiat rompe con il più forte sindacato del settore. La Fiat non chiede soldi al governo. Tutte scelte in contrasto, con la permanenza del centro decisionale dell’azienda in Italia.

E ancora.

In Italia ci sono i migliori ingegneri, i migliori creativi, i migliori operai.

Eppure all’Italia è stata affidata la produzione del Suv e quindi la vecchia tecnologia, e a Detroit la macchina elettrica, l’innovazione, la nuova tecnologia. 

E una scelta che cozza contro la logica imprenditoriale.

In una logica imprenditoriale coerente con la competizione globale, la scelta doveva orientarsi a fare in Italia ciò che l’Italia sa fare meglio. E se l’Italia sa fare meglio innovazione e ricerca, in Italia doveva essere prodotta la macchina elettrica e a Detroit il prodotto tradizionale.

E allora perché il Suv in Italia e la macchina elettrica a Detroit?

Il fatto è che la Chrysler è padrona della Fiat e come tale decide ciò che farà Arese, Pomigliano, e ciò che farà Detroit.

L’investimento ad Arese e Pomigliano è stato presentato come un’operazione Fiat, ma è un’operazione Chrysler.

Le scelte imprenditoriali sono della Chrysler che agisce e si muove come impresa globale.

E come impresa globale la società americana mantiene nel paese d’origine il processo decisionale, l’innovazione e la ricerca, e delocalizza, nelle altre parti del mondo, dove è più conveniente, dove possono esprimersi al meglio, le altre funzioni aziendali.

La Fiat è stata annessa perché è in Europa, ha i migliori operai e i migliori centri di ricerca, adatta quindi per essere lo stabilimento ed il centro di ricerca Chrysler nel vecchio continente, un avamposto dell’azienda di Detroit nel mercato europeo.


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