La memoria collettiva del passato

par massimiliano bertorelli
martedì 22 novembre 2011

Si tende irrimediabilmente a perdere la memoria di ciò che è stato fatto dagli anziani, da coloro che ci hanno preceduto: i sacrifici, il lavoro, la fatica, l’impegno profuso.

Potrei aggiungere termini su termini, ma non servirebbe. Tutto col tempo si dimentica: il buono che è stato fatto ed il meno buono. Ed è soprattutto un peccato per il “buono”, perché è ciò che costituisce, tassello dopo tassello, l’esperienza umana, basata su sentimenti sani, sulla correttezza, sul senso di appartenenza, sulla solidarietà, senza distinzione di sorta.

Sembrano passati secoli da certi contesti storici, eppur sono quasi dietro l’angolo (se provassimo a volgere indietro il capo): dalla vita contadina, dall’urbanesimo. Quello del lavoro nei campi, della capacità manuale di costruire, di seminare a mano un campo e di falciarlo, per il raccolto, quello dell’industria, della produzione, dell’artigianato, della passione nel fare.

Quello delle guerre, anche, purtroppo. Pensate a quanto pare lontano tutto questo: tanto da rendere, ne sono convinto, stucchevole per taluni il solo parlarne e, tantopiù, leggerne. La “colpa” contemporanea non è solo dimenticare con facilità e superficialità: è anche non dare ascolto a chi potrebbe ancora farci recuperare un ricordo, renderlo vivido e presente. La colpa è anche aver relegato, nei fatti, la “comune persona anziana” a peso sociale.

Per contrappasso, non possiamo ritenere sensato il fatto che, come sento, molti bambini non abbiano mai visto, per esempio, una gallina. Non possiamo pensare, con convinzione, che l'educazione scolastica, la cultura nozionistica, possa sopperire e costituire solide radici per i nostri ragazzi, in carenza di tali escluse emozioni ed esperienze dirette.

Non occorre avere vissuto la tragedia, per comprendere: giacché solo il caso ha determinato, per nascita, le umane, eventuali sofferenze: chiunque potrebbe ben esimersi dal ricordo di ciò che non gli è appartenuto. Ma alcuni ricordi, della vita contadina, quelli li ricordo, li ho visti sfilare davanti, li ho vissuti; per questo li curo, li trattengo, non li faccio inaridire.

Tutto questo lo chiamo rispetto per me stesso, non solo per gli altri. Non un regalo. Un riconoscimento da dedicare a qualcuno, alle generazioni passate: è il riconoscersi in chi, col proprio comportamento, ci ha tramandato serietà e altruismo, un senso civico che parrebbe in via di estinzione.

La ragione e l’intelligenza civica mi impongono di dare coerente significato e seguito a ciò che hanno passato e sofferto i nostri “vecchi”, “colpevoli” solo di essere nati in periodi storici tragici (che nella storia umana si sono susseguiti oltremisura), conflitti, morte e sofferenza. Non che le tragedie abbiano definitivamente abbandonato il nostro Pianeta: ancora ora, in questo preciso momento, vi sono luoghi, e non pochi, dove il tormento di vivere attanaglia le popolazioni, gli stermini, le faide, le rivolte, le guerre continuano, senza tregua.

Ecco perché non me la sento di perdere tutto questo. Ogni essere umano ci rappresenta, offrendoci in dono la propria memoria, la propria esperienza.


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