L’uomo di vetro adora la pubblicità carnivora

par Andrea Fama
martedì 17 marzo 2009

Dal Panopticon alla video sorveglianza, fino ad arrivare all’onniscienza della Rete: la privacy sembra ormai un diritto che abbiamo imparato a svendere, dato spensieratamente  in pasto ad inserzionisti famelici.

La città di vetro

È il sogno arcaico di ogni Governo, la trasposizione moderna del Panopticon benthamiano, l’edificazione di una città di vetro attraverso cui monitorare contemporaneamente ogni attività di ognuno dei suoi cittadini. È il sogno del controllo.


Ideando quella che doveva essere la prigione perfetta, il Panopticon appunto, Bentham professava proprio un’onniscienza invisibile in grado, a sua volta, di vedere e controllare tutto.


Agli albori del terzo millennio possiamo dire di esserci andati piuttosto vicino a questo modello di prigione onnisciente, oggi riprodotto in scala metropolitana, regionale, globale. Ogni angolo delle nostre città, ogni semaforo, vetrina o portone, pare essere impassibilmente adornato da sistemi di sorveglianza “invisibili” che rubano istantanee della nostra vita quotidiana e le registrano archiviandole nell’immenso database di un Grande Fratello ubiquo che tutto vede e tutto sa. Eventi dal drammatico impatto emotivo, poi, come l’11 settembre, hanno contribuito ad aumentare i controlli dei Governi sui propri cittadini in maniera esponenziale, favorendo progetti politico-economici non necessariamente incentrati sull’idea di sicurezza e tacciando come sospetto chiunque tentasse di difendere anche il più minimo brandello della propria intimità.


Il cittadino consumatore

Cittadini come codici a barre, dunque, merce animata di cui è possibile tracciare la provenienza, sorvegliarne gli spostamenti fino a determinarne la destinazione, chissà. Oggi, infatti, una nuova entità, più subdola e seducente, ha superato i Governi in questa loro attività di controllo e conoscenza: la pubblicità, modello aspirazionale di illusoria perfezione, assoluta divinità post-moderna sul cui altare ci si spoglia di tutto e si sacrifica anche il nostro più intimo sentire.


La pubblicità sa tutto di noi. E la più infallibile spia a sevizio di sua Maestà è Internet. Grazie al supporto delle nuove tecnologie, infatti, la pubblicità on-line è oggi in grado di definire “bersagli” precisi e di colpirli con l’accuratezza di un cecchino più che di un creativo. Basti pensare alla pubblicità comportamentale portata avanti da Google: un sistema di inserzioni che in base al comportamento che gli utenti hanno sul Web propone annunci pubblicitari in linea con ogni singolo profilo. Per fare ciò, gli inserzionisti comprano i dati di traffico che dovrebbero essere custoditi dai provider, fornitori di servizi Internet in grado di tracciare il movimento degli utenti che solcano la rete e, pertanto, di stabilirne i gusti, le abitudini e gli interessi. Sono diverse le aziende che acquisiscono e diffondono in modo sordido e illegale i dati sensibili e i comportamenti degli utenti in rete, in modo da delineare profili appetibili per gli inserzionisti: è il caso di Phorm, sistema di British Telecom, o di Facebook, ad esempio, entrambe accusate di aver violato la privacy degli utenti a scopi commerciali.


È sulla base di simili considerazioni che pochi giorni fa si è levata perfino la voce del padre del World Wide Web, Tim Berners-Lee, il quale in un intervento alla House of Commons inglese ha definito così proprio i sistemi di profilazione della pubblicità comportamentale: “è come se si mettesse una web-cam nella stanza di qualcuno”. Il pioniere internettiano, inoltre, depreca lo “spionaggio in rete”, poiché mette “a rischio l’integrità di Internet in quanto mezzo di comunicazione: monitorando clic e dati del genere si possono trovare molte più informazioni sulle persone di quelle che troveremmo ascoltando le loro conversazioni”.


A contrastare l’avanzata degli inserzionisti armati di cookies e banner vigono già in ogni Paese norme in tutela della privacy e si abbozzano tentativi di autoregolamentazione da parte degli organismi di settore internazionali. Ma l’anello debole della catena sembra essere proprio l’utente: ancor più pericolosamente di quanto non accada già in strada con i dispositivi di sorveglianza, infatti, anche on-line il cittadino della rete resta supino alle minacce che insidiano la propria privacy.


Spiati e contenti (?) 

Un recente studio, ad esempio, rivelerebbe che negli Stati Uniti la maggioranza degli utenti sa di essere spiata nei propri comportamenti e nelle proprie relazioni on-line, e gradisce l’essere oggetto di campagne pubblicitarie mirate. Il dato è fornito dalla Truste, organizzazione a tutela della privacy che tra i propri partner conta organizzazioni e gruppi che operano proprio nel campo della pubblicità on-line, dell’IT e della net-economy.


Dall’altro lato della barricata, però, vi sono personalità altrettanto autorevoli, come quella di Berners-Lee, convinte dell’inconsapevolezza dell’utente e allarmate dal fatto che “usiamo Internet senza pensare che terzi possano sapere su cosa abbiamo cliccato”. Anche la letteratura internettiana inizia a mettere in guardia gli utenti circa il potenziale di penetrazione nella nostra vita privata da parte dei provider, veri e propri nastri trasportatori di conversazioni, segreti, relazioni e omissioni, intesi come la più grave minaccia potenziale mai mossa alla privacy della nostra società. 


Per tutelare l’utente, che consapevole o meno rimane comprovatamene inerme dinanzi al proprio monitoraggio, bisogna quindi affidarsi al fatto che i provider non si lascino tentare dalle lusinghe monetarie dei pubblicitari e si limitino al proprio ruolo di “gestori del traffico”, trovando il giusto equilibrio tra le necessità di osservazione insite nel proprio ruolo e il mero desiderio di intrusione prezzolata. Ma non basta. È necessario, infatti, che la legge si adegui ai parametri in continua evoluzione di Internet, varando strumenti che non si limitino solo alla blindatura del diritto d’autore, ma che tutelino anche l’utente dall’invasività pubblicitaria.

 

L’uomo di vetro

Internet ha segnato il passaggio ad una nuova frontiera dell’intrusione. Dalle città di vetro attraverso cui monitorare ogni azioni dell’uomo, si è passati all’uomo di vetro attraverso cui è possibile scrutare sentimenti, stati d’animo, debolezze. La pubblicità on-line ha fiutato la preda e ha spalancato le porte a quella che già nel gergo (target, killer application) porta in sé il sapore di una caccia, amorevole e premurosa, che grazie al mobile ti segue ovunque fino ad inghiottirti nella virtualità interattiva del 2.0.


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