L’istruzione – Giovambattista Vico e Giorgio Napolitano
par Bernardo Aiello
lunedì 27 settembre 2010
«L’inconveniente più grave dell’odierno metodo di studio è che, laddove ci consacriamo con maggiore impegno a coltivare le discipline naturali, non facciamo più il medesimo conto delle scienze morali, e segnatamente di quella loro parte che concerne l’indole dell’animo umano e delle sue passioni correlativamente alla vita civile e all’eloquenza, le proprietà delle virtù e dei vizi, le buone e le mali arti, le caratteristiche dei costumi giusta l’età, il sesso, la condizione, la fortuna, la stirpe, la nazionalità di ciascuno, nonché quell’”arte del decoro” che fra tutte è la più difficile; ragion per cui la scienza quanto mai estesa ed importante dello Stato giace presso di noi quasi abbandonata ed incolta».
Così Giovambattista Vico nell’opera Il metodo degli studi del nostro tempo ed è incredibile come queste parole continuano ad essere attuali dopo tre secoli e come sembrano replicare al Presidente della Repubblica ed ai suoi continui e pressanti inviti ad escludere il mondo dell’istruzione dai tagli economici che l’attuale crisi impone.
In questo ipotetico dialogo a distanza fra napoletani, il filosofo e docente direbbe al Presidente che, nell’istruzione, quello che conta è il metodo e che occorre tenere la mente sgombra da ogni forma di dogmatismo. A dire il vero l’obiettivo polemico di Vico era allora il dogmatismo dei cartesiani, ma ben poco cambia se ad esso sostituiamo oggi quello degli idealisti italiani e del loro mentore Giovanni Gentile, responsabile di una riforma del sistema scolastico semplicemente perniciosa.
La scuola di Gentile non aveva l’obiettivo di formare i cittadini italiani, bensì quello di formare le élites che mancavano ancora al Paese. Partiva da un assunto dogmatico che il sapere si distingue in sapere umanistico (i.e. italiano, latino e greco) ed in sapere scientifico (i.e. matematica, fisica e scienze naturali), per giungere alla conclusione che il primo era quello giusto per formare la classe dirigente del Paese. A chi non riusciva a superare la selezione per i Licei, restavano forme di studio di serie “B” negli Istituti Tecnici ed anche di serie “C” per le classi più modeste, come, ricorderanno tutti, il famoso Avviamento Professionale. Orbene, una cultura che assume come unico paradigma di ciò che vale questa coppia di poli, finisce inevitabilmente per trascurare tutta una sfera della conoscenza e della formazione umana. Questo succedeva con i cartesiani e questo succede con gli idealisti. Per questi ultimi non esistono né diritto né scienze economiche, le lingue straniere devono essere studiate solamente al fine di conoscerne i classici e così via. Non parliamo poi della scientia nova denominata informatica. Per inserirla nell’ingessatissimo sistema scolastico si è dovuto ricorrere ad una Organizzazione esterna non governativa ed alla sua creatura la Patente Europea del Computer, questa stessa Organizzazione è così ingessata che ancor oggi nel 2010 non è riuscita a cambiare versione dell’Office e passare alla versione 2007, di inserirvi una sezione per la grafica, ossia il C.A.D., neanche a parlarne. Nelle scuole vi sono i laboratori di informatica, alla stregua di quelli di chimica e di fisica, mentre l’informatica deve essere assimilata alla logica, ossia essa non è un sapere, ma la forma che ogni sapere deve assumere per potere rivestire significato e valore, in una parola per assurgere a dignità scientifica, nell’odierno mondo delle telecomunicazioni (questo tradotto in pratica significa che occorre chiudere tutti i laboratori di informatica e trasformare le strutture scolastiche in modo che insegnanti e scolaresche possano svolgere le loro attività correnti utilizzando l’informatica, in modo nuovo e diverso rispetto a quanto facevano senza utilizzarla). Insomma, un vero e proprio disastro.
Il risultato finale è che, come dice Vico, la scienza quanto mai estesa ed importante dello Stato giace presso di noi quasi abbandonata ed incolta; ossia la scuola non forma i cittadini di domani.
Ed ovviamente da quanto sopra consegue che, purtroppo, non vi è proporzionalità fra risorse destinate all’istruzione ed il buon esito di questa: le risorse servono, ma occorre adottare il giusto metodo per adoperarle perché, in caso contrario, esse si trasformano in uno spreco. Molto meglio, ad esempio, trovare il coraggio per dar fuoco, una volta per tutte, alle castronerie della cosiddetta Riforma Gentile e ritrovare così la libertà di pensiero contro ogni dogmatismo.