L’ irrespirabile aria di famiglia di Olimpia Tarzia

par Chiara Lalli
sabato 23 ottobre 2010

Olimpia Tarzia è la promotrice del disegno di legge regionale del 26 maggio 2010 per la “riforma e la riqualificazione dei consultori familiari”. Ci sarebbe molto da dire su questo disegno di riforma. Ciò che colpisce iniziando a leggere, e che forse basterebbe a mettere in discussione l’intera proposta, è l’idea di famiglia intorno verrebbe a ruotare l’attività dei consultori (è necessario ricordare che i consultori familiari sono stati istituiti nel 1975 con la legge 405, legge che ha l’unico difetto di non essere applicata e che non richiede alcuna riforma).

Si comincia così, con le istruzioni per l’uso del primo (e controverso) articolo “L’articolo 1 sottolinea la posizione dell’ordinamento regionale rispetto alla Famiglia: la Regione riconosce la dimensione sociale della famiglia fondata sul matrimonio che si pone come primaria ed infungibile società naturale e come istituzione prioritariamente votata al servizio della vita. La famiglia, riconosciuta come realtà preesistente al diritto positivo, è da quest’ultimo valorizzata e tutelata nelle sue fondamentali dimensioni dell’unità e della fecondità”. E poi si specifica nell’articolo 1, primo comma: “1. La Regione riconosce il valore primario della famiglia, quale società naturale fondata sul matrimonio e quale istituzione finalizzata al servizio della vita, all’istruzione ed alla educazione dei figli, e tutela la sua unità, la fecondità, la maternità e l’infanzia”. Anche il terzo comma merita di essere riportato: “3. La Regione tutela la vita nascente ed il figlio concepito come membro della famiglia”.
 
La vera famiglia è quella fondata sul matrimonio secondo la Tarzia e i firmatari del suo disegno di legge. D’altra parte compare al singolare e con la “F”, come potremmo confonderla con le famiglie false e imperfette? L’uso del singolare denuncia un panorama angusto e miope: esistono innumerevoli tipologie di famiglie, non c’è nessuna Famiglia, unica o vera da usare come modello o da preferire alle altre. La definizione di famiglia può (e deve) accogliere le formazioni più diverse, senza imporre vincoli semantici pesanti e prestabiliti. Basterebbe guardarsi intorno.
 
Molte delle definizioni più comuni di famiglia rischiano di essere anguste: si pensi alla cosiddetta “famiglia tradizionale” intesa come costituita da madre, padre e figli, uniti da un legame genetico e matrimoniale. Forse non dovrebbe essere considerata come una famiglia quella formata da un solo genitore? Quelle ricomposte? Quelle formate da due donne o da due uomini, impossibilitati a sposarsi in Italia?E allora, quale potrebbe essere la condizione necessaria per rilevare la presenza di una famiglia? Il legame affettivo, la responsabilità, la condivisione. Nulla che si possa assicurare rispettando un modello formale e strutturale. Perché escludere tutte queste famiglie?
La Famiglia, intesa come blocco di cemento armato, esiste solo nelle pubblicità sceme o nei pensieri semplificanti e disinteressati alla realtà. Ignorare la realtà è rischioso e ingiusto: prenderemmo sul serio uno che è convinto che la Terra sia piatta? Discuteremmo con lui di natura umana o di inquinamento ambientale? Appare difficile discutere e accordarsi su come tutelare le famiglie partendo da premesse tanto diverse.
 
Invece di allargare la tutela giuridica per tutte le famiglie, si insiste sulla esclusione, sulla discriminazione e sulla disuguaglianza. Il diritto di famiglia avrebbe bisogno di una nuova riforma e non di una inversione a U verso gli anni sessanta, verso l’istituzione della dote, verso il matrimonio riparatore, verso quella visione bigotta per cui la donna era a disposizione del marito e indissolubilmente scissa tra angelo del focolare e puttana.
 
In Italia fa ancora discutere la regolamentazione delle unioni per persone dello stesso sesso - che sia il matrimonio o un altro istituto giuridico equivalente - e le uniche risposte sono state solo una caricatura della parità di diritti. Nonostante questo i fantasiosi progetti di legge dai Dico, ai DiDoCo fino ai DiDoRe, sono miseramente falliti perché troppo azzardati! Quando a “omosessuale” si affianca la parola “famiglia”, e la richiesta di diritti e di doveri - cioè di uguaglianza - la condanna è assicurata.
 
Spesso la Costituzione italiana è invocata a sostegno della discriminazione.
 
Come scimmie ammaestrate tutti a ripetere che lo afferma anche la Costituzione che questi matrimoni non s’hanno da fare! Senza averla mai letta. Il tanto citato articolo 29 non impone come condizione necessaria la diversità di sesso degli aspiranti sposi. E, se non bastasse l’apertura dell’articolo 29, ci viene in aiuto l’articolo 3: tutti i cittadini sono uguali “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
 
Non sono razzista, è solo che non credo sia giusto mischiare le razze in questo modo. Ho molti amici neri, vengono a casa mia, li sposo e usano il mio bagno. Li tratto come gli altri. Ma i figli dei matrimoni misti soffrono, e io devo tutelarli”. Così si è giustificato Keith Bardwell, giudice di pace della Louisiana, per il rifiuto a sposare una donna bianca e un uomo nero. Non è avvenuto nel 1950, ma pochi mesi fa.
 
Per molti anni non sono state considerate famiglie quelle composte da persone di diverse etnie o religioni. Possiamo augurarci che l’assurdità con cui accogliamo oggi queste idee si allarghi presto alle idee familiari di Olimpia Tarzia e di quanti insistono sul modello unico (che poi è sempre il modello che loro credono sia giusto, proprio come i bambini viziati pretendono di dover sempre vincere).
 
Se non bastasse il modello familiare unico a non farci prendere sul serio la proposta Tarzia, l’articolo 3 ci toglie ogni dubbio: di quale figlio concepito stanno parlando?
 
“Figlio concepito” è espressione molto ambigua. Siccome è preceduta da “vita nascente” sorge il sospetto che si parli di figlio (di persona, quindi) come membro della famiglia a partire dal concepimento. La considerazione personale dell’embrione è un problema filosofico e giuridico enorme, con conseguenze profonde. Ma qui ci interessa sottolineare soprattutto il profilo, ancora una volta, discriminatorio: si intende proteggere solo i figli concepiti all’interno del matrimonio?
 
Forse Tarzia vuole ristabilire un po’ di giustizia e ripristinare il diverso trattamento per i figli: quelli legittimi - nati all’interno di un matrimonio - e quelli bastardi, titolari di nessun diritto perché illegittimi. Anche questa differenza è stata quasi eliminata dalla riforma del diritto di famiglia degli anni settanta e vederla ricomparire è davvero desolante.
 
In Italia ci sono anche molti bambini nati o cresciuti in famiglie con genitori dello stesso sesso. Famiglie ricomposte, donne che hanno usato le tecniche di riproduzione artificiale, uomini che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata, cogenitori (cioè una coppia di uomini e una coppia di donne che hanno insieme dei figli). Ci sono molti bambini, come dicevamo, nati in famiglie non garantite dal matrimonio, o cresciuti da un solo genitore. Che ci facciamo con questi bambini?

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