L’insostenibile leggerezza della politica digitale

par Andrea Fama
venerdì 6 marzo 2009

La nuova amministrazione U.S.A. ha fatto della Rete uno dei propri punti di forza. L’amministrazione italiana pure, ma in un modo tutto suo.

L’onda atlantica dell’innovazione digitale scatenata dal neopresidente statunitense Obama ha prevedibilmente scosso anche i mari della politica nostrana. Il sapiente uso di Facebook e Youtube organizzato dallo staff presidenziale magari, come sostengono molti, non avrà costituito la chiave di volta del successo del primo presidente nero in America, ma ha sicuramente aiutato Obama a proiettare un’immagine di sé fresca, al passo con i tempi, vicina alle persone.

 

La risposta degli spin doctor italiani ai navigati colleghi d’oltreoceano si è inizialmente concentrata sulla figura del Ministro Gelmini, il primo in Italia (se si eccettua il blogger ante litteram Tonino Di Pietro) ad inaugurare un proprio canale su Youtube per parlare ai giovani con il linguaggio ed i mezzi dei giovani.

L’esperimento italiano, però, più che suscitare ammirazione e interesse, ha prevalentemente suscitato l’ilarità di molti, convinti che, in realtà, il Ministro non cercava di cavalcare l’onda della rivoluzione digitale, ma tentava più che altro di non essere travolta dall’onda studentesca che, invece, aveva effettivamente fatto della Rete il proprio punto di forza, sfruttandone la viralità e la sovraesposizione.

 

Ma la strategia di Obama sui nuovi media non si è limitata a personalizzare una pagina di Facebook e a postare qualche video su Youtube. Contemporaneamente all’investitura ufficiale del Presidente, infatti, i suoi tecnici rivoluzionavano il sito della Casa Bianca, rendendo consultabili molte sezioni precauzionalmente segretate dal predecessore Bush, e inaugurando nuovi canali di comunicazione diretta con gli elettori-cittadini statunitensi, che in migliaia hanno subito visitato il nuovo portale.

 

Anche in questo caso, la risposta italiana non ha tardato a palesarsi, con la Camera dei Deputati che, in stile Grande Fratello, finisce pure lei dritta dritta su Facebook. Gli obiettivi? Trasparenza e volontà di far conoscere il Palazzo (la vita parlamentare, i lavori in assemblea e in commissione ecc.) ai cittadini, con un occhio di riguardo ai giovani.

 

Naturalmente, a prescindere da quanto la politica creda davvero nelle potenzialità di questi mezzi, rimane ancora da verificare, sia in Italia che negli Stati Uniti, in che misura le rispettive amministrazioni faranno un uso concretamente orizzontale e trasparente della Rete, senza lasciare che invece diventi l’ennesimo strumento di propaganda fine a sé stesso.

 

Ma se ci si ferma un istante ad osservare dall’alto questo recente fenomeno della digitalizzazione della politica si potranno notare alcune interessanti incongruenze.

 

Da un lato, infatti, si registra un brulicare vertiginoso di giornalisti, sottosegretari, Ministre e Presidenti della Camera, tutti ad elogiare a voce alta le virtù di democratizzazione, trasparenza e vicinanza ai cittadini di Internet nella Pubblica Amministrazione. Dall’altro, però, gli stessi uomini di partito si muovono nel tentativo di irretire la Rete, ma lo fanno silenziosamente, badando a non destare gli stessi clamori mediatici riservati all’inaugurazione di un qualche canale su Youtube.

 

Così (e qui finiscono i parallelismi con gli U.S.A., dove il digital divide e le restrizioni digitali non sanno neanche cosa siano) ci ritroviamo con un altro anno di legge Pisanu da mandar giù - con conseguenti limitazioni sulla diffusione e sulla qualità dell’accesso a Internet; con il riesumato DDL Levi-Prodi che adesso potremmo ribattezzare Levi-Prodi-D’Alia; con uno stringente disegno di legge sui diritti d’autore che di fatto mutila proprio Youtube – il canale apparentemente tanto caro alla nostra amministrazione ma con cui il Presidente del Consiglio è in causa da mesi; e con un’iniziativa firmata niente meno che dall’onorevole Gabriella Carlucci che, dietro disposizioni fumose, mira ad annientare l’anonimato in Rete.

 

Alla luce di questo quadro poco rassicurante e lusinghiero, verrebbe da pensare che forse l’unica svolta elettronico-digitale che ci meritiamo sia davvero il sistema appena varato per rilevare le impronte ai parlamentari nel tentativo di debellare l’imbarazzante piaga degli onorevoli pianisti, unico caso al mondo in cui un Parlamento tenta affannosamente di difendersi da sé stesso.


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