L’epicentrismo geografico del coronavirus

par Osservatorio Globalizzazione
lunedì 11 maggio 2020

Il coronavirus ha una sorta di “intelligenza strategica”? Se lo chiede da tempo Mirko Mussetti, analista di “Limes” e saggista, che oggi ci parla del dilemma sulle sue origini, del tema della possibile origine umana e della rilevanza economica e geopolitica delle aree maggiormente colpite.

di MIRKO MUSSETTI

 

A distanza di quattro mesi dalla presa di coscienza della diffusione del settimo coronavirus infettivo per l’uomo, iniziano a essere messe in discussione dalla comunità internazionale molte narrazioni sulla pericolosità del patogeno e sulla sua origine. 

La letalità non può più essere negata o minimizzata. L’origine, invece, può essere sempre e comunque mistificata. A partire dal nome stesso del virus: con il termine Covid-19, assegnato dall’Oms, si è inteso epurare qualsiasi riferimento geografico del patogeno insito nel nome Sars-CoV-2. Riguardi mai adottati per la Mers (Middle East respiratory syndrome) e tanto meno per Ebola, che prende il nome dall’omonimo villaggio sul fiume Congo. 

Ma comprendere l’origine e la tempistica di diffusione non è essenziale solo per tentare di debellare la minaccia sanitaria, ma anche per rimodulare i rapporti diplomatici e geoeconomici globali. 

Dopo mesi in cui i media mainstream hanno minimizzato il problema e denigrato le ipotesi più plausibili ma scomode, le indagini internazionali si stanno ora concentrando sulla possibilità che il virus sia nato in laboratorio. D’altronde basta un pizzico di epistemologia per smontare ogni convinzione sul naturale salto di specie. La sensazione è che i servizi segreti di mezzo mondo stiano cercando di frenare su una possibile escalation con esiti imprevedibili.

L’origine artificiale del virus nel laboratorio di biosicurezza di Wuhan è un segreto di Pulcinella. Ormai è solo questione di trovare la proverbiale pistola fumante, rimandando a poi la decisione se renderla pubblica. È per questo che si stanno muovendo tutte le intelligence più accorte.

Ma sotto sotto fu la stessa Cina ad ammettere la potenziale origine artificiale di Sars-CoV-2, quando accusarono gli Usa di aver intenzionalmente rilasciato il virus durante i giochi militari di ottobre a Wuhan. Ovviamente con gran lavata di capo dell’ufficiale che avventatamente smentì la versione protocollare di Pechino.

La sensazione è che le grandi potenze siano in grado di ricostruire una parziale verità, integrabile solamente mediante un proficuo scambio di informazioni. Ma il reciproco sospetto di inquinamento delle prove non potrà essere mai cancellato. Le informazioni sono un bene prezioso, ma gli amici non sono certi. 

Al di là delle speculazioni e delle propagande contrapposte, questo pasticcio globale offre l’occasione per analizzare i comportamenti pandemici e prendere appunti sulle guerre ibride del prossimo futuro. La “guerra senza limiti” preconizzata da Qiao Liang e Wang Xiangsui stravolgerà il sistema globale e, quindi, l’organizzazione militare delle nazioni. I paesi in grado di provvedere ad una efficiente rivoluzione degli affari militari (Ram) e di intelligence sono avvantaggiate.

Le moderne armi biochimiche non sono concepite per la distruzione di massa, bensì per l’approntamento di guerre economiche. Non si costruisce un’arma che non si può controllare appieno per il mero annientamento, bensì per paralizzare i mercati delle nazioni concorrenti/nemiche. Conviene dunque prendere qualche appunto su Covid-19, poiché questa pandemia, sia essa colposa o dolosa, potrebbe aver dato inizio ad una nuova stagione di conflitti mondiali non lineari come fu per le guerre finanziarie degli anni ‘90 e la guerra cibernetica che ha caratterizzato il decennio che si sta chiudendo. 

Questo virus “naturale” è curiosamente dotato di una sviluppata intelligenza strategica. La sua propagazione è altamente geometrica e cartografabile. La disposizione geografica e la valenza geopolitica dei primi epicentri non mente.

Per ora tutte le nazioni hanno retto al primo impatto di Covid-19: i cinesi hanno sigillato la provincia colpita con metodi draconiani; gli iraniani hanno procrastinato il dilemma dell’assetto costituzionale; gli italiani si sono dimostrati più disciplinati di ogni stereotipo; gli iberici hanno congelato gli autonomismi; i britannici hanno adottato celeri misure monetarie; gli americani non hanno stoppato i mercati finanziari e sostengono il proprio sistema sanitario. Ma come reagirebbero le popolazioni impoverite ad una seconda più virulenta ondata pandemica?

Roma non deve in alcun modo sottovalutare l’aspetto bellico delle pandemie. Il dispositivo biochimico non è secondario. Urge una Ram per meglio affrontare e contenere le nuove minacce. Si vis pacem, para bellum.

Foto di scartmyart da Pixabay 


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