L’elettroshock applicato all’economia

par Bernardo Aiello
lunedì 7 febbraio 2011

Elettroshock o terapia elettro-convulsivante, basata sullâapplicazione al paziente di una corrente elettrica ovvero, secondo la vulgata, sullâapplicazione di una scossa; vera e non figurata, come è invece quella che si applica ad un certo punto in un noto spettacolo RAI di intrattenimento serale.

Uno dei primi a parlare dell’utilità della TEC o terapia elettro-convulsivante per la nostra economia è stato qualche tempo addietro l’economista Gian Maria Gros-Pietro, il quale la riteneva appropriata per porre rimedio alla sostanziale “non crescita” del P.I.L.: «Ci serve un soprassalto di consapevolezza e di onestà intellettuale. Non lo vedo ancora.»

Questa tesi è stata recentemente abbracciata dal premier in una delle sue partecipazioni all’attuale strana forma di governo del nostro Paese, per la quale è stato creato il neologismo dichiarazia. Insomma, lo ha detto in televisione. Dunque nessuno dovrebbe preoccuparsene più di tanto: nessuna applicazione di preoccupanti elettrodi è in vista, si tratta più o meno di chiacchiere da caffè.

La proclamata applicazione elettrica, nella dichiarazione del premier, dovrebbe portare, udite udite, ad uno stratosferico schizzo in alto del nostro Prodotto Interno Lordo di ben il 3%, o addirittura il 4%, nell’arco di cinque anni. A meno di non aver male interpretato le sue parole.

Effettivamente c’è da restare sconvolti: la Cina, per aumentare il suo PIL del 3-4 %, oggi ci mette qualcosa come un quadrimestre. Appare oltremodo giusto che in nostro Paese ci metta un poco di più.

Comunque sia di ciò, né il professore Gian Maria Gros-Pietro né il premier hanno detto come e dove saranno posti gli elettrodi per la vigorosa applicazione di differenza di potenziale elettrico; solamente il primo aveva parlato di condizioni locali che impediscono lo sviluppo delle grandi imprese, restando indimostrato che la cosa non vale per le piccole (almeno, così sembra a guardare da una cattedra universitaria). Una cosa è certa: per ironia della sorte il numero del quotidiano che conteneva l’articolo di Gian Maria Gros-Pietro sulla necessità della scossa, portava al suo interno anche la storia del suicidio di un imprenditore vicentino, che si era tolto la vita perché la sua azienda era andata in malora.

Sciascia avrebbe detto che le responsabilità sono del contesto.

Après moi le diluge, avrebbe detto al riguardo un noto re di Francia.

Anche il vostro cronista, per onore di firma, vorrebbe dire la sua, accennando ai dati riportati dal rapporto Paying Taxes 2011 della Banca Mondiale: le imprese italiane sono quelle che sopportano il maggior carico fiscale in Europa, per una prelievo totale del 68,6 % in tasse e contributi sottratti all’utile. Questo prima dell’intervento per il federalismo fiscale, che dovrebbe portare ad una istituzionalizzazione e ad un sano ulteriore sviluppo della già cospicua tassazione di tipo patrimoniale; perché, anche se il premier lo ignora, esistono già nel nostro Paese imposte di questo tipo. Ad esempio quella sulle successioni, che proprio lui ha tolto e che il suo successore Romano Prodi ha rimesso; o l’ICI, che lui ha tolto solamente per la prima casa e non anche né sulle residenze date in locazione né sugli edifici utilizzati nell’attività economica né sulle aree edificabili.

L’idea reganiana che il Pubblico Leviatano debba essere tenuto a rigida dieta non trova molti sostenitori nell’attuale classe politica, né di destra, né di sinistra, né di centro, né di sopra, né di sotto: meglio applicare ai cittadini l’elettroshock, tanto ai politici non lo sarà mai.


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