L’arroganza di Alfano: no all’identificazione degli agenti

par Fabio Della Pergola
martedì 22 aprile 2014

E’ insopportabile l’arroganza del Ministro degli Interni, Angelino Alfano.

Uno che tempo fa ha dimostrato, come sappiamo bene tutti, la sua totale incapacità di gestire un caso delicato come quello di Alma Shalabayeva (per non dire che forse ha avuto una sua responsabilità nell’esito ampiamente illecito di quel caso, con l’espulsione di una signora che aveva tutti i diritti riconosciuti dalla legge italiana e dagli accordi europei per rimanere nel nostro paese).

Sabato il nostro se ne è uscito con una polemica a tutto campo sulle ultime manifestazioni violente di Roma: «Per noi la libertà di manifestare è sacra, ma tirare razzi non è manifestare. Sono contrario al codice identificativo per le forze dell’ordine. Se questi sono i manifestanti, l’identificativo ci vorrebbe per loro, non per la polizia».

In questa semplice frase - che ripete e sintetizza concetti già espressi nella sua sfuriata a braccio durante la conferenza stampa - c’è tutta la summa del suo pensiero.

Siccome i violenti devastano la città non si può dire né fare niente contro i comportamenti illeciti di agenti in ordine pubblico quando agiscono in violazione della legge che loro stessi devono far rispettare. Che, detta in altri termini significa che se un teppista attacca lo Stato, lo Stato ha il diritto di farsi teppista e mettersi sul suo stesso piano. Logiche che sono qualcosa in più che discutibili.

Lo stesso giorno un agente molto “furbo” si è messo a camminare su una dimostrante, una giovane ragazza inerme a terra, schiacciandola con tutto il suo peso. Ma, essendo molto “furbo”, non si è accorto di non essere in divisa. Grazie agli abiti borghesi è stato riconosciuto, identificato e definito “cretino” dal capo della polizia. Ma se non fosse stato così “furbo” nessuno sarebbe mai stato in grado di individuarlo.

E’ questa l’impunità che si vuole? E’ per difendere questi gesti che il ministro responsabile dell’illegale espulsione nel caso Shalabayeva si scalda tanto?

Nel frattempo in buona parte del mondo - dove si contrastano moti di piazza non sempre più tranquilli dei nostri (vedi Istanbul, vedi le periferie parigine, vedi quelle inglesi) - la polizia ha adottato il codice identificativo. Ne parlavo già oltre un anno fa per dire che è una misura di banale civiltà - anche a tutela degli stessi agenti - promossa e sollecitata anche dal Parlamento europeo:

“Il Parlamento (...) esprime preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell'UE; invita gli Stati membri a provvedere affinché il controllo giuridico e democratico delle autorità incaricate dell'applicazione della legge e del loro personale sia rafforzato, l'assunzione di responsabilità sia garantita e l'immunità non venga concessa in Europa, in particolare per i casi di uso sproporzionato della forza e di torture o trattamenti inumani o degradanti; esorta gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”.

“Ce lo chiede l’Europa” è uno slogan che va bene solo quando c’è da tartassare i cittadini o può essere usato anche per imporre a politici e istituzioni recalcitranti, l’adozione di mentalità e modalità più democratiche?

 

Foto: PPE/Flickr


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