L’accerchiamento russo: lo scontro tra evoluzione e involuzione

par Fabio Della Pergola
venerdì 11 marzo 2022

Ucraina. Non è difficile distinguere tra aggredito e aggressore. Tra violentatore e violentato. Ma quando si tratta di interpretare i motivi del conflitto sono subito emersi due punti di vista diversi e spesso contrapposti.

Uno vede una realtà esogena, nel concetto di azione-reazione: Putin starebbe reagendo a un’azione offensiva che viene dall’esterno della Russia, dall'Occidente (Nato, Usa, Ue). Egli stesso ha ribadito questa accusa (condivisa anche dalla leadership cinese), nonostante l'allargamento a est della Nato sia ormai fermo dal 2004 (con l'adesione dei paesi baltici, di Romania, Bulgaria e Slovacchia) e nonostante che la richiesta di adesione presentata dall'Ucraina nel 2008 sia rimasta congelata fino ad oggi per l'opposizione di alcuni paesi europei. Dopo che, per quattordici anni, la pratica di adesione alla Nato non ha fatto un passo avanti, è difficile condividere l’idea che questa sia la motivazione reale del conflitto.

Si può criticare questa affermazione sostenendo che l'Ucraina avrebbe dovuto cancellare dalla propria costituzione il progetto di adesione alla Nato, ma anche se lo avesse fatto nessuno avrebbe mai tolto dalla testa di Putin che ciò che sta scritto sulla carta vale finché non viene sostituito da qualcos'altro. In altre parole non c'era niente che l'Ucraina potesse fare realmente per evitare di trovarsi in rotta di collisione con la Russia, se non putinizzarsi come la Bielorussia. Esattamente quello che il nuovo governo, uscito con ampia maggioranza dalle elezioni, non voleva fare dal momento che è stato votato proprio per occidentalizzare il paese.

Più probabile allora la seconda ipotesi, vista anche la strategia di preparazione della Russia al conflitto, che ha privilegiato, fra le altre cose, il progressivo distacco della rete internet nazionale da quella globale. Per difendersi da attacchi informatici, certo, ma anche per difendere il monopolio dell'informazione detenuto dal governo.

La seconda interpretazione privilegia quindi una realtà endogena, tutta interna allo sviluppo involutivo del sistema di potere russo. Che procede alla ricerca di una posizione da superpotenza mondiale ormai perduta, attraverso successive negazioni della storia. Dalla negazione del collasso dell'URSS (simbolicamente rappresentata dallo sventolio di una bandiera rossa con falce e martello su un tank russo in Ucraina), alla negazione dell'esistenza stessa dell'URSS, con l'esibizione di simboli del passato zarista come la bandiera con l'aquila bicipite e la comunanza di vedute tra il Cremlino e il patriarcato moscovita ("la guerra è giusta perché è contro i gay", ha detto ieri il patriarca di Mosca, Kirill).

Come ha scritto Guido Calderon su Il Manifesto, citando Marlène Laruelle, una delle massime esperte occidentali di “cose russe”, «Sotto la guida di Putin l’apparato presidenziale ha contribuito a sviluppare un nuova ideologia, attraverso dei programmi di Stato dedicati all’“educazione patriottica” a scuola e alla creazione di nuove festività e commemorazioni. Allo stesso modo si è costruito un vero culto dell’esercito e sono apparsi negli interventi istituzionali espliciti riferimenti alla religione ortodossa (…) Questo il contesto nel quale è emersa un’area politica e culturale la cui traiettoria è ben illustrata dalla figura di Alexander Dugin, l’intellettuale spesso indicato come il trait d’union tra il Cremlino e l’estrema destra sovranista e postfascista dell’Europa occidentale (…) Dugin si è trasformato nell’ultimo decennio in una delle personalità intellettuali più vicine, a vario titolo, all’establishment putiniano, molto legato alle forze armate come ai vertici del partito Russia Unita e in grado di influenzare spesso il dibattito in rete. L’orizzonte ideologico che l’ex docente di Sociologia all’Università Lomonosov ha contribuito a tracciare può essere riassunto nei termini di una “rivoluzione conservatrice” all’interno e di una nuova proiezione imperiale all’esterno del Paese (…) Al centro delle teorie di Dugin riemergono le tesi “eurasiatiche”, apparse negli ambienti dei russi bianchi fuggiti dopo il 1917, mescolate in qualche modo con il nazional-comunismo che iscrive anche l’Urss di Stalin nel ciclo della grandezza perduta del Paese (…) Dugin ritiene che il Cremlino stia applicando una “filosofia politica eurasiatica” che si fonda sulla “integrazione dello spazio post-sovietico”, passando dalla Bielorussia al Kazakhstan fino a Moldavia e Ucraina».

Ripetendo a distanza di decenni, la prassi di mandare i carri armati nelle strade dei paesi “fratelli” che sgarrano (Budapest, 1956 e Praga, 1968), la Russia di Putin agisce, con "una nuova proiezione imperiale all’esterno del Paese", la coazione a ripetere di un passato non più esistente, proponendo la negazione di un fatto storico acquisito come il fallimento e il collasso dell’Unione Sovietica. Mentre, nello stesso tempo, propone la negazione dell'esistenza stessa dell'URSS, con l'esibizione di simboli del passato zarista.

Una doppia negazione, del fallimento del “socialismo reale”, ma anche della rivoluzione del 1917, che meglio di qualsiasi analisi politica evidenzia la psicopatologia dell’ideologia dominante al Cremlino. Dire che Putin “è pazzo” è certamente una semplificazione da bar sport, ma l'analisi dell'involuzione russa ci porta alla soglia di dimensioni psichiche, declinate in prassi politica, quantomeno preoccupanti.

A definire culturalmente l'involuzione per annullamento della realtà storica e del conseguente ritorno psicotico allo stato precedente, ecco l'ideologia eurasiatista, di cui ho parlato spesso negli ultimi anni (qui un riassunto comprendente i link ad articoli precedenti) il cui primo obiettivo è abbattere il progetto di Unione Europea. Un progetto che, fra carenze e contraddizioni, errori ed anche orrori, si presenta invece come fondamentalmente evolutivo, capace di elaborare il passato tragico dei nazionalismi arcigni e guerrafondai degli ultimi due secoli (e oltre) per proporsi come ambito di dialogo e ricerca di compromessi possibili fra interessi contrapposti.

Involuzione vs. evoluzione quindi.

E qui forse si capisce che l'invasione dell'Ucraina ha più lo scopo di impedirne l'adesione alla UE piuttosto che un'improbabile adesione alla Nato, dal momento che indebolendo l'UE l'ipotesi di una Eurasia ("da Lisbona a Vladivostok", come è stato scritto) si rafforza. Con la UE forte, ovviamente si riduce a un progetto fallimentare.

E qui forse si capisce anche la risposta compatta e forte della UE che, evidentemente, ha capito di essere nel mirino dei cecchini russi.

Questa ostilità russa verso l’Unione Europea – già ampiamente venuta alla luce in anni di appoggio e finanziamento di tutti i movimenti antieuropeisti all’interno di ogni singolo paese europeo, Lega in testa – diventa evidente osservando la cartina allegata: dai confini con la Finlandia alla Bielorussia, dal conflitto in Ucraina, all’appropriazione della Crimea, alle guerre nel Caucaso, all’appoggio risolutivo del regime di Assad in Siria (dove la Russia dispone di un porto sicuro per la sua flotta del Mediterraneo orientale) fino all’espansionismo in Libia in appoggio delle milizie di Bengasi contro il governo di Tripoli, non è difficile vedere un progressivo accerchiamento dell’Europa disegnato nella mente e nella prassi della strategia russa contemporanea. Quali possano essere i passi successivi non è facile dirlo. E sicuramente dipenderanno dagli esiti del conflitto in Ucraina.

Si può solo prendere nota di un atteggiamento americano (e quindi della Nato) molto cauto e attento a non farsi trascinare in una spirale eccessivamente rischiosa. Dando aiuti militari agli ucraini, senza intervenire in prima persona, l'Occidente spera di vedere l'armata russa impantanarsi fino alla paralisi in un paese grande come mezza Europa, abitato da una popolazione che si è ampiamente compattata a fianco del suo governo, che cova un forte sentimento antirusso, con un esercito tutt'altro che sprovveduto. La scommessa potrebbe non essere così campata in aria.

Quello che nel frattempo sembra lampante è la distrazione dei leader europei che, dopo aver sbagliato molto all'epoca del collasso sovietico, si sono poi trastullati a lungo, negando importanza a una politica estera comune, senza minimamente capire i pericoli – ideali, sociali, politici, economici, energetici e militari – che la Russia poneva già da anni, covando le sue ambizioni di rivalsa.


Leggi l'articolo completo e i commenti