L’a-moralità che uccide

par Davide3d
venerdì 9 ottobre 2009

A cosa serve la morale? A chi serve? Perché serve?

Una riflessione breve.

Non c’è evento nefasto, tragico, drammatico, ove si contino e piangano i morti, si raccolgano macerie, si scavi nei detriti e nel fango che, nella nostra penisola, non abbia l’amaro sapore della beffa.


Non c’è mai nella storia dei disastri italiani (sempre aggiornata di nuove esperienze) un momento nel quale davvero e con convinzione riusciamo a parlare di un evento imprevisto ed imprevedibile: qualcosa che accade e ci sorprende; che non potevamo lontamente immaginare.

Non ci è concesso rimanare stupiti, convinti che, nel quotidiano, ciò che deve essere fatto per impedire, prevenire, scongiurare le catastrofi, viene eseguito da coloro che sono preposti allo scopo, come una condizione “normale”. Un quotidiano impegno del dovere di chi ha funzioni e mansioni di responsabilità, soprattutto istituzionale, cui è stato affidato il compito di essere terza parte, imparziale, per agire nell’interesse della collettività.

Questo sentimento non riusciamo mai ad averlo. Non possiamo piangere di dolore senza essere in compagnia di un sentimento di rancore, non già verso un destino ignoto ed imprevedibile, quanto per l’opera inadempiente di qualcuno.
 
Chi doveva vigilare non ha vigilato. Chi doveva agire non ha agito. Chi doveva arginare, sostituire, modificare, costruire, non l’ha fatto. Chi doveva spendere si è mangiato i soldi in altro, se li è intascati o li ha regalati a qualche amico.

Il richiamo alla verità e alla giustizia diventa un rito pagano consumato attorno al falò delle bugie di mestieranti, apprendisti stregoni della politica (e non solo), per i quali il concetto di responsabilità materiale e morale non esiste; non è un vissuto interiore: è un capriccio, un orpello demodè del passato usato da vecchi tromboni.

Loro sono la “nuova” avanguardia del liberismo, del capitalismo e della politica; nella loro forma più puerile, infantile e maschia: mi faccio gli affari miei e degli altri chi se ne frega. Se qualcuno crepa, peggio per lui; è uno sfigato.

Amministratori delegati, presidenti, parlamentari, sino agli assessori del più piccolo comune. C’è sempre un prezzo da pagare nella vita: l’importante è che lo paghino gli altri.

Per carità: non tutti sono così; sarebbe blasfemo ed ingiusto sostenere il contrario. Ma sono troppi: per uno Stato che voglia e possa dirsi civile, repubblicano e democratico.

Dal Vayont alla Messina di oggi, passando per l’Abruzzo, a bordo di treni deragliati che esplodono, scuole che crollano sulla testa dei nostri figli, carneficine sui luoghi di lavoro, è un susseguirsi di inadempienze di diversa gravità.

Ma, il fatto più tragico, è la nostra, o perlomeno ancora di molti, intima convinzione che questo stato delle cose, questa assenza di moralità sia tollerabile, necessaria, dovuta, obbligata: come se fosse una dannazione cui siamo soggetti in perpetuo per espiare colpe ancestrali e ignote.
 
L’a-moralità uccide. E nel modo peggiore.

 

“Dagli gnostici Gesù era visto come simbolo della Verità che illumina alla conoscenza (questo è il significato del vocabolo greco gnosis) del bene e del male, per cui è possibile all’uomo di seguire la via della rettitudine per intima convinzione”.[I Vangeli Apocrifi a cura di Marcello Craveri. Ed.Einaudi] 

In un Paese dove ci si straccia le vesti e si urla al sacrilegio se qualcuno tocca il Crocefisso appeso ovunque, sarebbe utile fermarsi a pensare non al simbolo in sé ma a ciò che intimamente rappresenta: “… per cui è possibile all’uomo di seguire la via della rettitudine per intima convinzione!".


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