L’Unità d’Italia: brevi appunti di storia

par Luigi Nicotra
lunedì 21 febbraio 2011

Mi permetto qualche breve appunto di storia, in risposta a coloro che, volendo sminuire se non denigrare le lotte risorgimentali, paragonano la spedizione dei Mille di Garibaldi e la guerra condotta contro il Regno delle Due Sicilie a guerre d’aggressione con intenti colonizzatori, assimilando dette lotte ad eventi bellici vicini nel tempo, come la guerra in Iraq, pretendendo non solo di volere giudicare fatti, persone e spinte ideali di 150 anni fa sulla base di categorie di pensiero attuali, ma soprattutto paragonandole a contesti storico/politico/economico/geografico/sociali completamente differenti.

Occorre, pertanto, innanzi tutto dire che l’impresa garibaldina, checché se ne pensi, nasceva da un processo storico/politico/insurrezionale ultracinquantennale avente al centro l’obiettivo dell’unificazione d’Italia.

In secondo luogo, il “casus belli“, vale a dire l’elemento giustificativo di quella spedizione stava per l’appunto in quel pregresso che di suo era ragione sufficiente per dare corso all’iniziativa.

A Garibaldi non serviva e non servì altro, dato che fu, secondo molti un eroe e, secondo alcuni, un avventuriero, ma certamente non fu un politico e la sua vicenda umana e politica successiva è lì a dimostrarlo. Semmai fu Cavour, politico di razza, che aveva ed ebbe bisogno di un “casus belli“, tanto più che, secondo molti storici, fra i quali la professoressa Lucy Riall, docente di storia all'Università di Londra e studiosa, in particolare del Risorgimento italiano, il governo di Torino non organizzò, ma subì la spedizione che Cavour considerava molto pericolosa. Poi, quando vide che i Mille avevano successo, intervenne per controllare la situazione e limitarne, dal suo punto di vista, i danni.

Fu così che Cavour giustificò il successivo intervento dell’esercito piemontese con la necessità di porre fine al caos rivoluzionario nel sud Italia: in Abruzzo, Molise, e Puglia gli scontri erano all’ordine del giorno tra le varie fazioni dei rivoluzionari che avevano formato governi provvisori, il primo dei quali nato in Basilicata.

Circa l’assedio di Gaeta (nov.1860/febb.1861), così come la battaglia del Garigliano (29.10.1860), condotti entrambi dalle truppe piemontesi, avvennero solo successivamente al plebiscito conseguente alla conquista garibaldina del Sud e soprattutto, dopo la battaglia garibaldina del Volturno (sett./ott.1860) che risultò decisiva per il successo della spedizione dei Mille e, soprattutto, per lo scopo primario della spedizione stessa, vale a dire l'unificazione politica e territoriale nazionale.

A riprova, poi, di quanta fu la partecipazione e l’adesione popolare alla spedizione, occorre rimarcare che a questa battaglia parteciparono ben 24.000 volontari costituenti l’esercito meridionale, vale a dire quell’armata che, ai Mille iniziali, vide l’aggregazione, strada facendo, di rinforzi sia provenienti dal Nord Italia, come i volontari guidati da Giacomo Medici ed Enrico Cosenz, che volontari siciliani oltre a diversi reparti dell'esercito borbonico che avevano cambiato uniforme poiché si consideravano italiani.

Quanto ai plebisciti con i quali solo una parte della popolazione ebbe la possibilità di esprimersi a favore dell’annessione al nascente Regno d’Italia, occorre ricordare che il diritto di voto fu per molto tempo basato sul censo e sull’età, oltre che sull’alfabetismo, appannaggio quindi di una minoranza della popolazione stessa. Fu solo con i governi di Giovanni Giolitti (1912) che il suffragio divenne pressoché universale, quanto meno per i maschi. Quello totalmente universale è del 1946.

Fare, quindi, ancora leva sui temi della propaganda clericale, antigaribaldina e sanfedista non ha molto senso.

Ad onor del vero, occorre aggiungere che a tale propaganda diede, nel corso dei degli anni dopo l’ultima guerra, il suo sostegno una certa pubblicistica di sinistra, con molte analisi di stampo revisionistico sulle vicende risorgimentali. L’intento fu quello di smorzare qualsivoglia risveglio nazionalistico dopo l’indigestione fatta durante il ventennio fascista.

La risultanza ed il problema furono che, buttando via il nazionalismo, si contribuì a minare il senso di appartenenza alla comunità nazionale ed a quanto ne consegue in termini di civismo. Solo da pochi anni la sinistra democratica italiana ha mostrato segni di resipiscenza, comprendendo finalmente che una nazione deve necessariamente reggersi anche sulla condivisione di una storia e dei valori comuni e partendo da questa condivisione costruire il proprio futuro.


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