L’Opera dei Pupi e il teatrino della politica

par Giovanni Maria Sini
mercoledì 1 settembre 2010

In un paese â che, ovviamente, non è lâItalia â câera una volta un Puparo che teneva in mano i fili dellâinformazione, della politica e dellâeconomia.

Le sue messe in scena non riscuotevano più i successi d’un tempo; il linguaggio, ormai solito e abusato, non suscitava più alcun fascino.

L’armamentario voluttuario e le ripetitive frasi dei Pupi, emanazione del Puparo, dimostravano tutta la vecchiezza della sua opera.

Nonostante si ostinasse a proclamarsi nuovo ed estraneo al solito “teatrino della politica”, il Puparo ne incarnava e ne rappresentava tutti i vizi e nessuna virtù.

D’altra parte nella sua opera prima, che chiameremo P1 (Puparo 1), condizionava dall’esterno la politica, al fine di strutturare un palcoscenico televisivo grazie al quale poter divenire monopolista e, in quella fase, amplificare la voce dei suoi affini.

Ci fu poi una seconda opera, che chiameremo P2 (Puparo 2), nel cui contesto il Puparo immaginava di poter sovvertire, sempre dall’esterno ma ben ammanigliato all’interno, l’ordine costituito del “teatrino della politica”.

In virtù del motto “non c’è P2 senza P3” diede vita ad una nuova opera, prosecuzione della precedente, nella quale, stavolta dall’interno, cercò di consolidare il suo personalissimo potere e privilegio.

In questa terza opera il Puparo, sfruttando l’arte del ventriloquio, si servì dei pupazzi rimasti a lui fedeli, utilizzati come vuoti ripetitori del verbo unico. Fra questi ricordiamo: pupazzo Capezzone, pupazzo Stracquadanio, pupazzo Quagliariello, pupazzo Verdini, pupazzo La Russa, pupazzo Bondi, e pupazzo Cicchitto (molti dei quali, peraltro, ereditati dal vecchio “teatrino della politica”).

Per dare un tocco d’originalità si avvalse anche di alcune maschere regionali, già interpreti di un’epopea “padana”, ormai ridotte al ruolo di “proconsoli romani”, ammansite e rese organiche e sottoposte al suo volere/potere. Tra queste ultime ricordiamo: pupazzo Bossi, pupazzo Maroni, pupazzo Castelli e pupazzo Calderoli.

Fu questa la ragione del suo inesorabile, seppur lento, declino: il pubblico pagante non amava più le opere per voce sola e auto-celebrative.

Ci scusiamo con tutti i pupazzi non citati.


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