L’Ocse boccia la scuola

par Pietro Orsatti
giovedì 10 settembre 2009

Continuano le proteste in tutto lo Stivale contro i tagli. La Gelmini fa un favore a Formigoni in difficoltà in Lombardia e un rapporto internazionale declassa il sistema formativo nazionale troppo caro e inefficiente

di Pietro Orsatti su Terra

Paradossi di fine impero. La scuola italiana esplode, proteste ovunque, presidi davanti al ministero, il più grande licenziamento di massa che si ricordi nella storia repubblicana nel settore pubblico, eppure… Eppure il ministro Mariastella Gelmini, guarda caso, regala un bel ammortizzatore per i precari del settore all’amico Roberto Formigoni candidato unico e finale del Pdl alla presidenza della Regione Lombardia. Prima si annuncia l’accordo per lo stipendio pieno anche a quegli insegnati precari a cui non viene confermato la supplenza annuale e poi, il giorno dopo, si esalta la candidatura (che novità) di Formigoni al Pirellone. Paradossi, appunto, anche quando i sindacati si dividono in un diluvio di dichiarazioni dicotomiche: Cgil denuncia la beffa, la Uil Lombardia plaude. E il “giochino” scuola intanto va in frantumi.

 

Come testimonia l’Ocse nel rapporto Education at a glance 2009, il 55% degli insegnanti italiani non ha alcun tipo di riscontro, positivo o negativo, per il lavoro svolto. E ancora, classi poco numerose, ore di insegnamento eccessive e troppi docenti non retribuiti in base al merito. Il tutto si traduce, secondo il rapporto, in un declassamento del sistema educativo italiano al 24esimo posto. I risultati medi degli studenti italiani, riporta sempre L’organizzazione internazionale, sono tra i più scarsi nell’area Ocse. Due esempi: i nostri studenti di 15 anni sono indietro di due terzi di anno scolastico nelle scienze rispetto alla media europea e di due anni rispetto ai migliori, i finlandesi; soltanto la metà della popolazione italiana ha completato l’istruzione secondaria superiore, contro i due terzi della popolazione nell’area Ocse. Le scuole italiane spenderebbero per ciascuno studente molto di più degli altri Paesi, ma i rendimenti in termini di istruzione sono più scarsi. «L’assenza di chiare informazioni sulla valutazione degli studenti e dell’intero sistema – si legge nel rapporto-, dai docenti all’amministrazione centrale, è stata la causa principale delle cattive performance».

Quindi, come era prevedibile, siamo davanti anche a una questione di investimenti mancati, insufficienti o mal direzionati. Il costo più elevato dell’istruzione italiana è ampiamente dovuto al rapporto insegnante per studente, che è del 50% più alto (9,6 insegnanti ogni 100 studenti in Italia, rispetto a 6,5 insegnanti nell’area Ocse).

Le soluzioni proposte dall’Ocse sono poche e inequivocabili. Aumentare il numero degli studenti per classe, minimizzando il numero di classi all’interno dell’istituto scolastico e raggruppando gli istituti più piccoli; ridurre le ore d’insegnamento solo per le materie non obbligatorie ed evitare di toccare le ore relative alle discipline delle aree matematico-scientifico-tecnologiche, soprattutto negli istituti di istruzione e formazione professionale. E soprattutto reinvestire i risparmi ottenuti in politiche mirate al miglioramento dei risultati sia in termini qualitativi che economici. «Otto miliardi di euro. Questo, è quanto dovrà pagare la scuola nei prossimi tre anni. Come fare per spremere tutti questi miliardi dal bilancio del ministero dell’Istruzione? Semplice: l’unica voce possibile è la riduzione del personale e quindi gli otto miliardi sono stati convertiti in posti: 87.400 docenti e 44.500 ausiliari, tecnici e amministrativi in meno nel triennio». Questa la denuncia della Flc Cgil in un dossier pubblicato nei giorni scorsi. Che mostra quale sia la reale dimensione dell’azione del governo Berlusconi. E mentre continua il presidio davanti il ministero di Viale Trastevere, le iniziative di proteste di chi è stato già tagliato fuori e di chi nei prossimi due anni attende l’effetto congiunto delle strategie della Gelmini e di Tremonti si moltiplicano in tutta Italia. E chi può cerca di correre ai ripari, anche se per motivi meramente strumentali, come i governatori di Sicilia e Lombardia, Lombardo e Formigoni.


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