L’Italia si ferma, il Giubileo continua a correre
par UAAR - A ragion veduta
venerdì 2 maggio 2025
Le parole sono importanti, a volte decisive. Ma chi esercita un potere dovrebbe prima o poi passare ai fatti. Jorge Mario Bergoglio è stato un grande comunicatore, ha stupito per l’uso evocativo del linguaggio e per aver interpretato il ruolo di parroco di campagna che, ingenuo e spaesato, si è improvvisamente ritrovato sul trono di Pietro.
Eppure nei dodici lunghi anni di pontificato non ha cambiato di una virgola ciò che avrebbe potuto cambiare e che lasciava intendere dovesse essere cambiato nell’organizzazione in cui deteneva il potere assoluto.
La legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano è chiara: «Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza della potestà di governo, che comprende il potere legislativo, esecutivo e giudiziario», recita l’articolo 1. Stessi poteri di tipo totalitario sono ricoperti in quanto capo della Chiesa. Eppure Bergoglio è riuscito a farsi credere fautore della parità di genere, per poi stroncare nemmeno un anno fa tutte le presunte aperture: «Le donne sono di grande servizio come donne, non come ministri».
È riuscito a imprimere nei ricordi collettivi la frase «Chi sono io per giudicare», che già in partenza era limitata «a una persona gay che cerca Dio e ha buona volontà», per poi chiarire il suo pensiero reale con la «frociaggine» nei seminari. Per non parlare dell’exploit all’insediamento, quel pauperistico «San Pietro non aveva un conto in banca» che a dodici anni di distanza si scontra con l’immutata esistenza della banca d’affari vaticana, e della costante e sostanziale inerzia sugli abusi ecclesiastici che in Italia non vede ancora realizzata alcuna inchiesta indipendente a differenza di tanti altri stati.
In fin dei conti questi possono essere considerati affari interni della Chiesa, sarebbe toccato ai fedeli chiedere conto dell’assenza di fatti rispetto alle tante parole diffuse in favore di telecamere. Se è innegabile il successo mediatico, il pontificato di Francesco è stato però contraddistinto dal tracollo della pratica religiosa. Il declino era già iniziato, ma c’era da aspettarsi quanto meno una tenuta con un leader così carismatico e, per qualcuno, rivoluzionario.
La vera tenuta, anzi la ripresa rispetto all’era Ratzinger, c’è stata sul fronte delle influenze sulla politica. Bergoglio è andato perfettamente a braccetto con Giorgia Meloni e contemporaneamente è stato osannato da una sinistra pronta a dimenticare quanto ferocemente si è scagliato contro l’aborto e i medici «sicari» che lo garantiscono, smemorata sul fatto che è il capo assoluto di un’organizzazione omofoba dove le donne sono subordinate a una casta sacerdotale di uomini. Una tifoseria clericale bipartisan emblematicamente rappresentata nei programmi elettorali presentati alle elezioni politiche del 2022.
La memoria corre al 2005, quando in seguito alla morte di Karol Wojtyla l’Italia entrò in una sorta di black out, con sospensione di attività sociali, culturali e sportive in tutto il Paese. Si vocifera che il governo Meloni proclamerà una sequenza di giornate di lutto nazionale e chissà se comprenderanno il 25 Aprile, data laica e intoccabile per la nostra Repubblica (finora).
Nel frattempo il palinsesto delle reti Rai è stato monopolizzato da ricordi, servizi e interviste sul pontefice e già ieri sono iniziate le restrizioni a tutta la cittadinanza con il sindaco della capitale Roma Roberto Gualtieri che ha sospeso le sentitissime celebrazioni del Natale di Roma del 21 aprile e con la Figc che ha fermato «tutte le competizioni ufficiali in programma nella giornata di oggi [ieri, ndr], dalla Serie A ai Dilettanti».
C’è da aspettarselo, sarà lungo l’elenco di scelte, pressioni e azioni coercitive di amministratori pubblici e privati per limitare la socialità e l’informazione, quando la questione dovrebbe interessare principalmente la vita dei fedeli. Al riguardo il Vaticano ha già fatto sapere che il Giubileo continua senza interruzioni.
Roberto Grendene