L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro... non retribuito

par Sara Pulvirenti
lunedì 22 giugno 2015

Ci sono degli indizi che sommati tra loro restituiscono immediatamente la fotografia della realtà: se un paese che fonda la propria costituzione sul lavoro sembra, invece, “sottovalutare” il lavoro stesso, il corto circuito è lampante ed inevitabile.

 

E’ notizia di questi giorni che il palazzo del Quirinale a Roma sarà finalmente visitabile e che una villa, confiscata alla camorra nel casertano, ospiterà una mostra di pittura di grande fascino e di rilievo internazionale. Cosa mette in relazione questi eventi geograficamente distanti tra loro? Il fatto che le visite guidate saranno “tenute da giovani volontari” e che questa scelta sia stata presa da enti pubblici. Enti che da sinistra fino a destra, passando per il centro ripetono in continuazione che l’Italia con le sue bellezze storico artistiche e culturali potrebbe vivere di rendita. Un ritornello che non credevo potesse essere mai interpretato come un modo per fare “lavorare dei giovani volontari”.

Coloro che affermano di fare lavorare dei volontari si esprimono di fatto attraverso una contraddizione in termini: il volontario, infatti, dovrebbe dedicare il proprio tempo ad una sua passione in forma economicamente disinteressata, il lavoratore, invece, dovrebbe farlo essendo retribuito e nel rispetto di determinate regole, stabilite nel corso della storia attraverso un continuo e delicato bilanciamento di diritti e doveri. Il lavoro, quindi, per essere tale, deve essere retribuito e non è giusto, oltre che illegale, che questo non lo sia.”

Come si può, quindi, affermare di affidare un lavoro ad un volontario? E soprattutto, come può farlo un ente pubblico? La risposta che viene data più spesso è questa: visto che i soldi per mantenere dei lavoratori non ci sono a causa della crisi, intanto si interviene lasciando gestire servizi o strutture a dei singoli volontari o a delle associazioni, alleggerendo così i tempi ed i costi e snellendo le procedure.

Certo, è una teoria ragionevole e talvolta fondata nella realtà. Ma quei giovani volontari, protagonisti di centinaia di servizi giornalistici, con il loro entusiasmo e la loro passione, rischiano di fatto di mordersi da soli il futuro. E mentre magari loro possono non avere chiara la cosa, chi al vertice prende decisioni di questo tipo, invece, dovrebbe sapere bene di cosa si parla e quali sono gli effetti.

Di norma gli scenari che si creano quando ad un volontario viene affidato davvero un lavoro sono questi:

E poi c’è un’ulteriore sfumatura più sottile: al lavoratore si può e si deve richiedere professionalità e, se questo non accade, ci sono sanzioni disciplinari e pecuniarie per spingerlo a farlo. Ma se il volontario non ha le competenze per fare un lavoro e/o non gestisce bene l’attività assegnatagli, cosa succede? Chi avrà delle responsabilità formali al riguardo si nasconderà dietro all’alibi del “sono volontari, non possiamo chiedergli di più”, mentre magari invece il povero volontario dovrà affrontare difficoltà inaspettate, trovandosi di fatto di fronte al classico bivio: annego o imparo a nuotare?

Se questa è davvero la fotografia dell’Italia di oggi, quale di questi pensieri può essere idoneo ad un paese che dovrebbe fare del lavoro, quello vero, quello retribuito, quello che da stimoli e fa crescere, la propria bandiera?

Com’è possibile fare sì che il nostro patrimonio culturale possa davvero portare lavoro e risorse all’Italia?

Allora senza troppe prese in giro, forse tra le tante riforme costituzionali messe in cantiere nel corso degli anni, in maniera più onesta, andrebbe aggiunta anche la modifica dell’art. 1: l’Italia è si una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma su quello non retribuito.

 


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