L’Italia (diversa) di "Vieni via con me"

par Francesco Raiola
martedì 9 novembre 2010

Se l’idea di 'Vieni via con me', il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano di cui ieri è andata in onda la prima puntata, è quella di raccontare l’Italia, allora prima di trarne un giudizio definitivo è bene che questa narrazione sia sviluppata per intero. Ma questa prima puntata ci ha già dato l’idea di quello che è e che probabilmente sarà, con i suoi pregi e i suoi difetti. Stupido sarebbe appellarsi semplicemente al vasto pubblico – 7,6 milioni e vincitore della serata - che ha seguito la prima puntata, dato che questo risultato non è al netto dell’enorme pubblicità (data anche da una gestione del programma quantomeno discutibile da parte del Direttore Generale della Rai Mauro Masi), dell’aspettativa generale di chi sperava in un programma totalmente innovativo e dell’immensa forza dei singoli (Saviano, Benigni e Abbado, con Fazio a fare da presentatore vero e proprio).

Per avere un quadro un po’ più completo dovremmo aspettare almeno la seconda puntata e vedere quanta gente rimarrà fedele al tipo di programma scelto dai produttori. Un programma che è proceduto a blocchi: introduzione di Fazio, monologo di Saviano, monologo di Benigni, intervista ad Abbado, e ancora Saviano col monologo sul tricolore, con brevi intramezzi. Blocchi monolitici e forse poca fluidità tra essi (emblematica la ricerca da parte di Abbado di un Benigni che non sarebbe più entrato) hanno bloccato un po’ la forza attrattiva che, piaccia o meno, hanno personaggi come Saviano (che fa dell'alternanza tra la sua timidezza, il quasi essere lì per caso e l'impeto, la passione e l'indignazione, la sua forza) e Benigni. Il tutto è sembrato un po’ slegato, nonostante la forza dei singoli abbia tenuto la barra del timone dritto.
 
A farsi un giro per il web e dando una scorsa ai giornali di stamattina quello che salta all’occhio è l’assoluta radicalizzazione delle opinioni – cosa che ormai non sorprende più nessuno – quasi si discutesse se votare il duo Fazio-Saviano o meno. Ovviamente, se la radicalizzazione delle opinioni è criticabile – abbiamo letto critiche a Benigni, che sembravano dovute più alla sua vicinanza con Saviano che alla performance in sé – non lo sono le reazioni che vedono proprio nell’impostazione della trasmissione la causa di questa massimalizzazione. Un’impostazione volutamente politica, critica nei confronti del Governo e di quella parte della stampa vicina al Premier. Quelli della “Macchina del fango”, per intendersi, fil rouge del monologo dello scrittore campano che ha gioco facile a passare al racconto della storia di Falcone, osteggiato sempre nella sua carriera e nelle sue indagini e perché no, vittima anche lui di una macchina del fango discioltasi nel momento in cui la sua macchina e quella della sua scorta saltavano in aria a Capaci.
 
 
Si sapeva già tutto, tutto già sentito (sembra di risentire le accuse a Gomorra), ma sarebbe un errore cadere nel tranello di credere che tutto ciò che noi sappiamo sia di dominio pubblico e credere, soprattutto che il pubblico della tv sia tale e quale a quello della rete, quello che ogni mattina apre decine, centinaia di blog e siti d’informazione, quello che “l’ultimo di Bolzoni l’ho letto tutto”. Crediamo che non tutti quei 7,6 milioni di spettatori fosse a conoscenza di ciò che è stato raccontato ieri sera e se anche lo fosse stato, beh in un paese che ormai ha la memoria sempre più corta, una rispolverata non fa mai male. La scelta, casomai, di usare solo Il Giornale come esempio del male dell’informazione è stata, più che forzata, esagerata e sarà vittima di strumentalizzazioni già in atto. Ma una scelta, così forte, è puramente autoriale quindi diamo per scontato che le prime pagine di questa mattina dei vari Libero e Il Giornale siano state preventivate (e non abbiano influenzato più di tanto).
 
Divertente l’introduzione di Fazio a Saviano e anche l’idea delle liste, immenso come sempre Benigni, con un po’ di fiatone in più, un piccolo aiuto dalla rete (ma almeno lui a differenza di altri cita spinoza.it) e un Bossi dietro al cespuglio un po’ più debole del “Craxi ndo cazzo vai” d’antan, ma che regge la scena come in pochi sanno fare. Monologo improntato su Ruby e esilarante passaggio sulle escort come minaccia della mafia (“ecco vi do l’indirizzo anche del mio albergo”), ma spettacolo nello spettacolo sono sia la rivisitazione di “Dio e Berlusconi”, sia la versione molto toccante di “Vieni via con me”, in conclusione di un omaggio a Saviano. Molto toccante anche il momento con un Abbado (anche lui intervenuto gratuitamente) molto emozionato.

'Vieni via con me' è un programma in cui, come scrive Matteo Bordone “c’è un po’ di quella retorica da fortino sotto attacco che trovo sempre insopportabile. Il fatto che il programma sia effettivamente un fortino sotto attacco fornisce una attenuante indubbia a chi lo fa”. Non sarà la rivoluzione della tv come qualcuno dirà, né la dimostrazione che in Rai Berlusconi non abbia voce, ma un programma che parla di un’Italia spesso relegata ai canali satellitari Rai, un’Italia che cerca di non perdere la propria memoria, un’Italia se non sotto assedio (“non siamo in Cina, o nella dittatura fascista, nessuno viene arrestato”), certamente è zoppicante, un’Italia in cui l’informazione è un veicolo fondamentale del pensiero comune, un’Italia che ha voglia di ridere e pensare (da lì a capire poi ce ne vorrà), un’Italia che non vuole galleggiare ma cerca di prendere posizione, un’Italia, insomma, diversa da quella che ogni sera ci viene raccontata dal Tg1 o dai reality al silicone.

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