Isis in Siria e Iraq: il ritorno del califfato

par SiriaLibano
mercoledì 18 giugno 2014

di Alberto Savioli

 Da più di un anno lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) ha fatto la sua comparsa in Siria, di fatto indebolendo il fronte dei ribelli piuttosto che il regime di Asad.

Qui si è rafforzato e ha esteso la sua capacità di manovra, tanto da conquistare Mosul, la seconda città irachena, e insidiare la stessa capitale dell’Iraq. Alla vigilia di un possibile grande scontro confessionale sciiti-sunniti è intervenuto anche Obama, dichiarando a parole quanto ha già espresso con i fatti, l’America non interverrà e il Medio Oriente dovrà arrangiarsi da solo.

La “cavalcata” vincente dell’Isis

Il giorno seguente alla caduta di Mosul, la seconda città irachena, per mano dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), alcuni combattenti jihadisti dichiarano di essere già alle porte di Baghdad. Barak Obama nel discorso tenuto 13 giugno ha dichiarato: “Non manderemo truppe in Iraq… Le forze di sicurezza irachene purtroppo hanno dimostrato di non essere capaci di difendere alcune città. E il popolo iracheno è ora in pericolo” (...) “Ci vorranno diversi giorni per decidere come intervenire al fianco del governo di Baghdad”, ha dichiarato Obama, “non è una cosa che si decide nel corso di una notte”. 

Verrebbe da chiedersi cosa abbiano fatto Obama e la sua amministrazione negli ultimi due anni.

Quando nel febbraio 2013 le bandiere dell’allora Stato Islamico dell’Iraq (Isi) facevano la loro comparsa in Siria, nelle zone di Daraya e Aleppo, avevano già un ampio background di matrice qaidista risalente   al 2006, e solo nel luglio 2013 avevano compiuto una serie di attentati suicidi a Mosul, Kirkuk, Bassora e Nassiriyya. 

Nell’agosto 2013 si parlava già di Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (in arabo: ad Dawla al Islamiyya fi l ‘Iraq wa sh Sham), quando riuscirono a impossessarsi della città di Raqqa scacciando le forze ribelli costituite dall’Esercito libero siriano (Esl) e dai gruppi salafiti di Jabhat al Nusra e Ahrar ash Sham, che avevano conquistato la città il 6 marzo 2013.

Da allora l’Isis, più comunemente chiamato Daesh dai siriani, è diventato tristemente famoso per l’applicazione radicale della sharia, secondo alcuni si tratterebbe di un’applicazione distorta della legge coranica. In Siria ad opera dello “Stato” si sono avute punizioni corporali per i ladri (fustigazioni e taglio delle mani), esposizioni pubbliche degli uccisi rei di omicidi o violenze, taglio delle teste di altri combattenti o fiancheggiatori del regime, inoltre sono state bruciate sigarette, l’alcool è stato proibito così come la musica, ed è stato imposto il velo integrale alle donne.

Dallo scorso dicembre il fronte dei ribelli anti-Asad unitosi sotto l’ombrello del Fronte Islamico ha lanciato un’offensiva per tentare di scacciare l’Isis dalla Siria, colpevole secondo loro di fare il gioco del regime, il risultato finale è stata un’avanzata del regime in alcuni territori e un consolidamento delle posizioni dell’Isis; gli unici ad essersi indeboliti sono stati i ribelli siriani.

Una delle giustificazioni americane per non sostenere con armi pesanti, quello che inizialmente era un  fronte laico di ribelli siriani, era il timore che queste ultime potessero finire in mano a jihadisti ed estremisti, così l’Isis ci ha pensato da solo ad armarsi.

Da più di un anno tra l’Iraq e la Siria si registrano movimenti di jihadisti stranieri impiegati alternativamente sui due fronti. A gennaio i combattenti dell’Isis in Siria si complimentavano con i combattenti in Iraq che erano riusciti a conquistare le importanti città di Fallujah e Ramadi.
Già allora l’Isis era “alle porte” di Baghdad e aveva influenza su un territorio che andava dalle aree a nord di Aleppo, passando per Raqqa e la Jazeera siriana fino alla provincia irachena di Anbar e le due città appena conquistate.

Ora lo “Stato” ha compiuto un ulteriore passo avanti, in poco tempo è caduta Mosul e molte aree della regione della Diyala sono controllate da loro, scendendo il corso del fiume Tigri hanno conquistato le città di Shirqat, Bayji, Tikrit, poi Shaqlawiyah, Baqubah (da confermare) e sono in corso scontri a Samarra. Con quest’offensiva l’Isis ha messo le mani nella sola Mosul sui contanti della banca della città e su una gran quantità di armamenti pesanti tra cui molti humvee, dieci F16 e alcuni elicotteri Black Hawk.

Naturalmente possedere aerei ed elicotteri non vuol dire saperli pilotare. L’Isis ha sorpreso ancora una volta, il 13 pomeriggio, mentre Obama teneva il suo discorso: hanno portato in volo due elicotteri pilotati, sembra, da un ceceno e da un iracheno e a Samarra hanno tentato di colpire il convoglio del primo ministro iracheno Nuri al Maliki.

 

Motivi del successo dell’Isis e premesse di uno scontro confessionale sunniti-sciiti

L’offensiva del’Isis in Sira e Iraq è efficace per una serie di motivi. L’Isis non si presenta solo come un movimento jihadista combattente, ma grazie all’esperienza qaidista irachena, nei territori conquistati si propone con tutte le strutture parastatali. Caduto lo Stato non regna il caos, l’Isis propone un modello di stato alternativo basato sulla sharia, ma dove gli uffici, le corti legislative, gli apparati di polizia e le strutture scolastiche sono perfettamente funzionanti, anche se in salsa coranica.

L’avanzata dello “Stato” inoltre presenta agli occhi dei sunniti una possibilità di rivalsa dopo anni di dominio sciita. In Siria la dittatura degli Asad, appartenenti alla setta sciita degli alawiti e in Iraq i governi a maggioranza sciita succeduti alla caduta di Saddam Hussein, non hanno lasciato spazio sufficiente ai sunniti del paese, che in Siria sono il 74% della popolazione e in Iraq il 40% (inclusi i curdi e i turcomanni).

Non è un caso che Daesh si sia presentato fin da subito come uno stato, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, e nei proclami dei suoi membri ci sia il costante riferimento al califfato. Nelle terminologie che utilizzano si percepisce un rimando agli albori dell’Islam e allo scontro secolare tra le due confessioni del mondo musulmano: sciiti e sunniti.

I loro nemici, anche dove si tratti di sunniti, diventano takfiri ossia "empi" (l’espressione takfir indica il dichiarare qualcuno “kafir”, miscredente e non-musulmano), murtadiyn (un musulmano che rinuncia all’Islam è detto “murtad”), o munafik colui che pur dichiarandosi musulmano nel proprio cuore in realtà non lo è. Gli iraniani o i soldati sciiti iracheni vengono da loro definiti dispregiativamente Safawidi, utilizzando il nome della dinastia islamica sciita che regnò in Persia tra il 1501 e il 1736. I Safawidi riunificarono territorialmente la Persia e dichiararono religione ufficiale lo sciismo duodecimano che rimase da allora dominante.

Tuttavia sarebbe errato considerare lo scontro confessionale come un movimento unidirezionale dei sunniti contro gli sciiti e non viceversa, in un’intervista di dicembre Nuri al Maliki, il primo ministro iracheno, soffiava sul fuoco del settarismo riferendosi alla battaglia nella provincia di Anbar come a uno scontro tra i seguaci di Husyan (gli sciiti) e i seguici di Yazid (i sunniti).   

Che questo scontro tra "civiltà islamiche" sia reale o solo percepito come tale è ininfluente. La percezione di una realtà viene concretizzata negli atti di chi crede in quella realtà. Capendo queste sfumature è possibile riconoscere nel “fenomeno” Isis non solo un “movimento” religioso e combattente, ma anche politico e di rivincita. Solo in questo modo è possibile comprendere le scene di giubilo che si sono viste in alcune città dopo la caduta di Mosul, nonostante la “cattiva fama” che accompagna l’Isis.

Abdul Jalil, un membro di spicco della milizia Jaysh al Tariqa al Naqshbandia (noto anche come l’Esercito dell’Ordine degli uomini di Naqshbandi o Jrtn, e che ha legami con ex dirigenti del partito Ba’ath di Saddam Hussein) ha confermato che il movimento chiede una resistenza continua contro l’occupazione safawide dell’Iraq.

"L’Isis ha rilasciato le nostre donne dalle prigioni di al Maliki e ha anche liberato tutti i prigionieri innocenti”, spiega Ghanem al Abed, uno dei principali promotori delle proteste musulmane sunnite di Mosul. Nei combattimenti avvenuti nella provincia di Ninawa (Mosul) accanto all’Isis c’era il Jrtn (dietro al quale pare ci sia Izzat Ibrahim al Douri, ex vicepresidente sotto Saddam), ex ufficiali di Saddam e i gruppi tribali della provincia. Nel 2009 funzionari degli Stati Uniti avevano avvertito che la “Naqshbandiya” avrebbe potuto diventare più pericolosa di al Qaida, perché era riuscita a radicarsi nella società. Il gruppo è in gran parte basato a Mosul e a Kirkuk. La figlia maggiore di Saddam, Raghad Saddam Hussein, ha dichiarato al quotidiano al Quds: “Queste sono vittorie degli uomini di mio padre e di mio zio Izzat al Douri”.

Suleiman al Sheikh Ali Hatem, il leader della tribù dei Duleym a Mosul ha dichiarato invece che le tribù combattono sia il regime che l’Isis, la rivoluzione è fatta per la giustizia non per la vendetta. La maggior parte delle tribù siriane e irachene non hanno giurato fedeltà (bayah) all’Isis. Nel marzo 2013 sul n° 2 di Limes scrivevo: “Chiunque voglia evitare che l’est siriano diventi terreno fertile per gli estremisti deve prendere contatto con i leader tribali locali… Le confederazioni tribali sono dunque decisive per il controllo dell’est siriano, che si configura come un territorio di staterelli a base clanica”.

Iran e Stati Uniti alleati per “salvare” l’Iraq e il suo petrolio?

Con la recente offensiva dell’Isis rischiano di cadere gli storici confini del Medio Oriente tracciati dall’accordo di Sykes-Picot, con il quale le potenze mandatarie si erano spartite l’area. L’America si trova ora nel paradosso di doversi probabilmente alleare con l’Iran per salvare quel che rimane dell’Iraq e del governo sciita iracheno, dopo che si erano scontrati in Siria sulla sorte di Bashar al Asad, in questo modo potrebbero consegnare all’Iran un territorio che comprende parte del Libano, della Siria e dell’Iraq. 

Lo scorso 13 giugno l’ayatollah Ali al Sistani ha chiamato alle armi tutti gli iracheni contro l’Isis, mentre la Guardia Rivoluzionaria iraniana, con le brigate al Quds, si troverebbe nella provincia irachena della Diyala e nei pressi dell’areoporto di Baghdad. La milizia irachena sciita presente in Siria accanto all’esercito governativo, la Liwa Assad Allah al Ghalibè stata richiamata in patria e il generale iraniano Qassem Solaimani, l’eroe della “resurrezione” di Asad assieme al movimento libanese di Hezbollah, sarebbe stato visto a Baghdad ad ispezionare le postazioni di difesa della capitale e i checkpoint.

Al Qaida comanda l’Isis o l’Isis comanda al Qaida?

Da più parti lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante viene definito come un gruppo di matrice qaidista. In un tweet del leader di Jabhat al Nusra, Abu Muhammad al Jolani, si affermava che il gruppo era nato con la benedizione del capo di al Qaida, Ayman al Zawahiri, grazie all’aiuto dello Stato Islamico dell’Iraq (Isi). All’inizio del 2013 il leader dell’Isi, Abu Baqr al Baghdadi, annunciava la fusione del suo gruppo con la Nusra, sotto la sigla dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, proclama rigettato da al Jolani che dichiara che la bandiera della Nusra continuerà a sventolare.
In questa fase al Zawahiri si configura come una sorta di arbitro nella diatriba tra i due gruppi sui quali aveva posto la benedizione; in un messaggio dichiarava che la fusione era annullata e richiamava l’Isi a occuparsi delle questioni irachene, lasciando alla Nusra le “faccende” siriane.

 Le indicazioni di Zawahiri vennero disattese da Baghdadi, che da quel momento di fatto rivendica la propria autonomia decisionale e del suo gruppo. Nelle recenti dichiarazioni del leader di al Qaida sembra configurarsi addirittura una situazione in cui la figura di Zawahiri è subalterna a quella del leader combattente Baghdadi, il primo rimarrebbe come leader spirituale e chiama il leader dell’Isis “Amir al Mumineen”, ossia "Comandante dei Credenti" che equivale a termine Califfo. Abu Baqr al Baghdadi è il califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.

In un tweet, Musa Cerantonio un noto predicatore australiano convertito all’Islam, scrive: “Se le parole di al Adnani (portavoce dell’Isis) sono confermate, come ho pensato da molto tempo, se conquisteranno Baghdad, Inshallah (se Dio vuole) il califfato verrà annunciato”.

Ma al Adnani va oltre proclamando una guerra settaria: “…tra di noi la vendetta sta aspettando… Ma la vendetta non dovrà avvenire a Samarra o Baghdad, ma piuttosto deve essere Karbala “la città sudicia” (la seconda città santa degli sciiti, dove nel 680 venne trucidato Husayn figlio di Ali, dalle truppe del califfo Omayyade Yazid) e Najaf “la città politeista” (centro del potere politico degli sciiti in Iraq, qui ci sarebbe la tomba di la tomba di Ali ibn Abi Talib, quarto califfo per i sunniti e primo Imam per gli sciiti), quindi aspetta, e in verità noi siamo con te nell’attesa.


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