L’Iran dalla sfida elettorale alla difesa nazionale
par Enrico Campofreda
sabato 31 dicembre 2011
Cinquemiladuecentottantatre aspiranti deputati si contenderanno i duecentonovanta seggi del Majlis nelle elezioni politiche iraniane programmate per il prossimo 2 marzo. L’ha reso noto ufficialmente il Ministero dell’Interno della Repubblica Islamica assieme ad altri dati: delle trenta province quella col maggior numero di candidati è ovviamente Teheran che ne conta 1006, la più contenuta Busher con 37. In mezzo collegi medi come Fars dove i pretendenti sono 350.
Le liste presentano volti noti della scena nazionale, dal navigatissimo presidente del Parlamento Larijani a Motahhari e Behrouzi, avversari di Ahmenadinejad durante le contestatissime presidenziali del 2009. Si candida anche Parvin, sorella del presidente, già inserita nel Consiglio cittadino. Una strada percorsa anni addietro da Mohammad che dal ruolo di sindaco della capitale salì sullo scranno più altro del Paese. All’epoca (2005) fu protetto dalla Guida Suprema Khamenei, nonostante all’interno del partito dei Guardiani della Rivoluzione avesse sostenuto l’idea di ridimensionare la funzione del clero a vantaggio dei pasdaran. Quell’incrinatura, solo parzialmente digerita da Khamenei, è ricomparsa negli ultimi due anni, e non certo per le contestazioni dell’"onda verde", bensì per la ripresa dello scontro egemonico fra una parte del clero sciita e il ‘partito dei militari’ consolidato economicamente attorno alle sue affaristiche fondazioni (martiri, veterani, invalidi, alloggi) che costituiscono un potentissimo apparato finanziario. Fra le due e più anime conservatrici dell’islamismo interno probabilmente neppure l’ayatollah fondamentalista Mesbah Yazdi se la sente più di far da tutore ad Ahmadinejad, e non è un caso che nell’ottobre scorso questi sia incappato nel trappolone di un’inchiesta per frode che gli fa tuttora rischiare l’incriminazione. La sorella naturalmente lo difende. Dice “Il nostro presidente è perseguitato da vicende giudiziarie. Personalmente non sono d’accordo sull’impeachment”.
I contrasti palesi ci sono e i protagonisti non li nascondono. E’ di queste ore la notizia che il sito web di un altro volpone della politica e dell’economia iraniana, l’ex presidente Hashemi Rafsanjani, è stato bloccato dall’interno. Dopo aver guidato la nazione con piglio imprenditoriale Rafsanjani ha continuato a seguire più gli affari che le istituzioni nonostante i primi non possono prescindere da contesti di macroeconomia e politica estera. Alle presidenziali del 2009 si espose sostenendo la candidatura di Moussavi, inimicandosi i basij pro Ahmadinejad. Quest’ultimi lo guardavano con sospetto già negli anni Novanta quando praticava aperture e concessioni all’Occidente riassunte in quel cosiddetto “sviluppismo” che introdusse una sorta di liberalizzazioni. Esse salvaguardavano un business in molti casi anche personale, e insieme alle privatizzazioni che piacevano ai bazari intaccarono quella cosa pubblica su cui mettevano le mani le bonyad religiose e militari. Eppure fra conflitti odierni e rancori del passato un fattore fa ritrovare all’intero quadro politico iraniano la coesione: l’ipotesi d’un attacco alla nazione. L’idea che la Quinta Flotta statunitense di stanza nel Bahrain (20 navi da guerra, aerei e 15.000 militari) possa intervenire o semplicemente contrastare le manovre della propria marina (23 sottomarini e navi d’appoggio) nello stretto di Hormuz fa ringalluzzire ‘partito dei militari’, clero, bazari con e senza turbante, e gli stessi riformisti. In questo caso tutti si stringono a difesa della sovranità politica ed economica della nazione. Lo spirito della “generazione del fronte” che s’oppose a Saddam non sembra affievolito.