L’Ilva come caso emblematico

par Zag(c)
sabato 28 luglio 2012

La vicenda dell'Ilva di Taranto è sintomatica di come si trattino certe situazioni e si giunga a soluzioni "inevitabili". Si lascia prima che si incancrenisca il problema, nel silenzio e nell'apatia più assoluta. Nessuno ascolta, nessuno evidenza gli appelli accorati, le urla disperate, i morti, le disgrazie, le tragedie. Al massimo un'alzata di spalle ai lamenti, o un grido di "Comunisti!" o, per argomenti anche di natura ecologica, l'accusa "siete i soliti ecologisti che dite di no a tutto!". Chi conduce la battaglia, quella che si definisce, da quasi quarant'anni. la "sinistra", poi "centro sinistra", poi "democratici". Si lascia che i problemi si incancreniscono, fino a diventare essi stessi una cancrena. E poi, pronta la soluzione. La soluzione diventa inevitabile, non c'è altra soluzione. Il risanamento costerebbe più della chiusura. Conti alla mano.

Oppure, la dove non interviene la politica, si lascia che intervenga la magistratura; che il caso diventi un caso di legalità. Nasce l'emergenza ed allora la soluzione non può che essere una ed una sola.

Il caso Ilva, un caso simile nella strategia.

L'inquinamento di questa fabbrica risale ai tempi della sua nascita. Ma era la soluzione alla povertà. Il modello di sviluppo richiedeva il sacrificio della natura. Passare dal contadino all'operaio siderurgico. Senza nessuna mediazione, senza nessun compromesso. Tutto e subito.

Fin da quando era fabbrica di stato produceva diossina, inquinamento atmosferico. I tumori, e le malattie polmonari erano all'apice nelle statistiche nazionali. Ma tutto era dovuto.

Era il prezzo da pagare per l'industrializzazione.

Al massimo si alzò qualche barriera ecologica, qualche albero ai confini della fabbrica, che in pochi anni divennero striminziti, ingialliti, morivano dopo pocho. Tutto intorno il silenzio e il fumo

Ma era il prezzo che si doveva pagare per il progresso.

Le urla, le grida divennero più alte, Le invocazioni di aiuto, le proteste per quella fabbrica che oltre a produrre ricchezza, produceva morte erano inascoltate con una alzata di spalle.

Era il prezzo da pagare per lo sviluppo

Poi arrivò il privato. Il padron Riva che all'inquinamento aggiunse anche l'alterigia del padrone privato. Fuori anche quell'embrione di sindacato, quella simulazione di organizzazione dei lavoratori. La dignità e l'umanità dovevano varcare il cancello della fabbrica. Oltre all'acciaio si producevano la palazzina Laf e l'inquinamento. Diossina e PCB. Gamlen e fanghi da scaricare in mare. Diossina e fumi di polvere di carbone da scaricare in aria.

Era il prezzo per il nuovo modello.

La politica, soprattutto quella locale, dietro migliaia di morti, dietro quelle centinaia di casi di tumore che non potevano più essere causate solo dal fumo delle sigarette o dall'ereditarietà, come ci avevano detto per tanti anni. Ed allora ha tentato di emettere qualche vagito, qualche flebile lamento subito, però, silenziato dall'interesse della produzione, del profitto. I controlli ambientali si, ma preceduti da avvisi delle prossime ispezioni!

Era il prezzo da pagare per uscire dalla crisi.

Ora è intervenuta la magistratura. Ha fatto diventare l'Ilva un caso nazionale, ma lo si affronta ancora come una guerra fra poveri. La salute contro il lavoro. O si muore per i tumori o si muore per fame. O si muore subito o lentamente per inedia.

Si è lasciato che il problema si ingigantisse che venissero eliminate tutti le soluzioni. Di fronte all'emergenza ci si trova davanti ad un bivio. La guerra è guerra fra poveri.


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