L’Egitto sull’orlo della guerra civile

par Giacomo Giglio
mercoledì 14 agosto 2013

Dopo settimane di "tregua armata", i militari hanno dato il via libera alla repressione della piazza. Imbarazzo in Occidente per i metodi del regime militare

Quando, il 3 luglio scorso, Mohamed Morsi fu messo agli arresti domiciliari e deposto dalla presidenza dell'Egitto, molti in Occidente non fecero nulla per trattenere una certa soddisfazione.

Incuranti della pericolosità di un colpo di stato militare, molti commentatori occidentali hanno salutato con ottimismo la transizione guidata dai generali, ed in particolare dal carismatico general Al-Sisi. E' molto difficile che ora gli Stati Uniti e l'Europa possano mantenere questa posizione senza qualche riluttanza.

In questo mese intercorso dalla caduta di Morsi, non solo non vi è stata alcuna pacificazione nazionale, ma la situazione è peggiorata, fino ad incancrenirsi in una guerra civile a bassa intensità. Ovviamente, bisogna annotare che le colpe non sono solo dei militari: la Fratellanza musulmana ha effettivamente avuto una gestione del potere autoritaria (seppur "legittimata" dall'investitura popolare), e, dopo l'imprigionamento del suo Oresidente, ha cercato in tutti i modi di far alzare la tensione, occupando piazze nevralgiche della capitale, nella speranza di rendere impossibile la fase di transizione imposta dai militari.

Ma tutto ciò era prevedibile: non si poteva certo pensare che un'organizzazione estesa come la Fratellanza, con diramazioni e associazioni sparse in tutto l'Egitto che negli anni di Mubarak hanno fornito una specie di "welfare" alla parte più arretrata del Paese, lasciasse docilmente il potere.

Per questo, chi aveva importanti rapporti con l'esercito egiziano - e mi riferisco in primis agli Stati Uniti di Obama - avrebbe dovuto consigliare bene i generali: il golpe era l'opzione più risolutiva sul breve periodo, ma anche la più rischiosa sul medio-lungo, considerato che la Fratellanza non ha solo un bacino "interno" di sostenitori agguerriti, ma anche un appoggio internazionale che comprende Gaza e la Turchia di Erdogan (anche se i rapporti con quest'ultimo sono controversi).

Ma i militari hanno scelto la strada più breve: il 14 agosto, all'alba, sono scattate le rimozioni forzate dei bivacchi dei militanti pro-Morsi. Preceduta dal lancio di lacrimogeni, la polizia ha fatto irruzione nelle tendopoli di Piazza el Nahda e di Piazza Rabaa-Al-Adawiyah, le due piazze situate nei quartieri in cui la Fratellanza è più forte. I morti sarebbero decine, ed il regime accusa che i Fratelli Musulmani avrebbero usato donne e bambini come scudi umani.

Sul terreno insanguinato del Cairo, tramonta l'idea - a dir la verità assurda - che da un colpo di stato possa nascere una pacificazione duratura. La gravità della situazione è tale che, forse, solo una mediazione internazionale condotta ai massimi livelli può ingenerare degli sviluppi positivi. 

 

Foto: Ian Murphy/Flickr

 

 

 


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