L’Argentina nazionalizza la compagnia petrolifera Repsol: brava Cristina

par Andrea Meccia
sabato 21 aprile 2012

Pubblichiamo un articolo di Ángel Guerra Cabrera dal titolo ¡Bravo por Cristina! apparso sul sito di informazione Rebelión il 19 Aprile 2012. La traduzione è di Andrea Meccia

La decisione di nazionalizzare il petrolio presa dalla Presidente Cristina Fernández de Kirchner è un passo di fondamentale importanza nella conquista della seconda indipendenza dell’Argentina e di tutta l’America Latina.
 
Il petrolio argentino è stato sotto controllo dello Stato dai tempi del primo governo presieduto da Hipólito Irigoyen fino alla sua privatizzazione, messa in atto dall’ultraneoliberale Carlos Ménem (1992).
 
Il decreto inviato al Congresso da Cristina, la cui approvazione farà affidamento sugli importanti voti dell’opposizione, trasferisce con un esproprio la quasi totalità delle azioni della nominalmente spagnola Repsol alla Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF) – il 51% – e dichiara di “interesse pubblico” il raggiungimento della ”autosufficienza della produzione di idrocarburi" ed anche delle opere “di sfruttamento, industrializzazione, trasporto e commercializzazione”.
 
Il decreto consolida legalmente la fine del primato del capitale su una risorsa di carattere non rinnovabile, di sicurezza nazionale e oggetto di scandalosa speculazione, così come rafforza il suo ruolo di leva dello sviluppo, che richiede, come nessun’altra risorsa, di rimanere sotto la totale gestione dello Stato.
 
YPF, fondata nel 1922 dal leggendario generale Enrique Mosconi, che vi lavorò come ingegnere e ne fu direttore per otto anni, è stato un ente pubblico per il quale gli argentini hanno sempre nutrito grande orgoglio, non solo perché garantiva l’autosufficienza del mercato nazionale ma anche per l’oggettivo contributo fornito allo sviluppo economico e sociale e al suo essere un simbolo di sovranità.
 
È forse utile ricordare che le imprese di origine spagnola hanno fatto i loro affari d’oro in America Latina nelle cosiddette “decadi neoliberali” grazie a illeciti accordi con personaggi di governo che apertamente, o subdolamente, hanno consegnato i propri beni pubblici e le proprie risorse naturali alla loro sete di denaro.
 
Alcune imprese hanno comprato a prezzi vantaggiosi trasformandosi rapidamente in solide compagnie transanzionali come nel caso di Repsol, che deve la sua trasformazione in grande impresa al saccheggio dell’Argentina, o degli istituti bancari BBV o Santander, i cui guadagni provengono in gran parte dalle loro filiali sul territorio nazionale.
 
Il governo argentino ritiene responsabile la Repsol della diminuzione del 54,97% della produzione rispettivamente di greggio e gas nel periodo 1998-2011, risultato scaturito dalla sua politica di sfruttamento massimo dei pozzi già esistenti al momento della privatizzazione di YPF.
 
Repsol – YPF, in tutti questi anni, non appena investiva nell’esplorazione di nuovi giacimenti e nello sviluppo di nuove infrastrutture, nel momento immediatamente successivo rigirava alla casa madre il grosso dei benefici (13.426 milioni di dollari) e proseguiva in una arbitraria politica dei prezzi, altamente svantaggiosa per l’economia argentina.
 
Ripresa da Buenos Aires già in passato, la goccia che fatto traboccare il vaso è stata la partita di combustibili del valore di 9.397 milioni di dollari che il Paese australe si è visto obbligato a importare, e che ha rappresentato una grave minaccia per la sua bilancia commerciale. Con l’elevata crescita del PIL che va avanti da nove anni e nel mezzo della profonda crisi energetica e dell’economia capitalista mondiale, per l’Argentina (come si legge nel decreto) è indispensabile assicurarsi l’autosufficienza energetica ed anche l’esportazione di combustibile. Cristina ha segnalato che il provvedimento va in direzione dell’integrazione e della sicurezza energetica sudamericana, che si rafforza, con l’ingresso del Venezuela nel Mercosur.
 
L’iniziativa prevede lo stimolo degli investimenti privati stranieri nel settore energetico e gli accordi con imprese pubbliche provenienti da altri Paesi. È privo di qualsiasi fondamento il pericolo di messa in fuga degli investitori dall’Argentina come sostengono esponenti neoliberali. C’è un enorme interesse del capitale internazionale ad associarsi con il Paese rio platense, le cui riserve di greggio sono stimate in 116 milioni di barili.
 
L’Argentina ha detto che risarcirà Repsol secondo la legislazione lazionale mentre la multinazionale esige una cifra smisurata che Buenos Aires ha già provveduto a rifiutare. Il governo di Rajoy, in un'antiquata attitudine colonialista, non ha smesso di minacciare la Casa Rosada. Invece di attivarsi per migliorare la drammatica situazione degli spagnoli – che iniziano ad emigrare in Argentina –, continua a farli sprofondare in una impenetrabile catastrofe sociale. Ed inoltre continua a difendere un’impresa che evade le tasse in Spagna, che ha un capitale a maggioranza non spagnolo, che non porta alcun beneficio agli abitanti del regno.
 
Mentre Brasile, Venezuela, Uruguay e Bolivia hanno espresso la loro solidarietà con l’Argentina – e ne seguiranno l’esempio altri popoli della nostra America – Washington si unisce alle destre ispanoamericane nella difesa di Repsol.
 
Quale sarà il motivo?

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