L’Afghanistan, la sharia e le donne

par Virginia Visani
martedì 21 aprile 2009

Sentite questa. Trecento donne indicono una manifestazione di protesta contro una legge degli Sciiti che le riporta ai primordi della civiltà per quanto attiene al rapporto uomo-donna. Cosa succede? Un manipolo altrettanto folto di uomini e donne le prende a sassate, chiamandole “puttane” e “cagne” dell’Occidente.

Tra i paragrafi della legge in questione, approvata recentemente dal Presidente-Re dell’Afganistan Hamid Karzai, il più controverso e rigettato dalle manifestanti si riferisce all’obbligo della moglie di sottomettersi sessualmente al marito ogni volta che lui lo desideri. In pratica, dicono le manifestanti, si tratta di legalizzare lo stupro maritale.
Ma le cose non stanno proprio così, ha corretto l’Ayatollah Mohammed Asef Mohseni. La legge dice semplicemente che il marito ha il diritto di non fornire più il sostentamento alla moglie se questa rifiuta il rapporto. Insomma, se non è zuppa è pan bagnato. Perché in pratica questa legge riporta le donne afgane alla peggiore condizione di schiavitù imposta per 5 anni fino al 2001 dai Talebani sunniti.
 
Ottantacinque per cento delle donne afgane è analfabeta, soltanto il 30 per cento delle ragazze va a scuola, una donna su tre è soggetta a violenza psicologica, fisica, sessuale, ogni mezz’ora una donna afgana muore di parto, il 70-80 per cento si è dovuta sottomettere ad un matrimonio forzato, la loro aspettativa di vita è di 40 anni.
 
Ora, se anche come sembra, la legge approvata in fretta e furia il mese scorso, è in primo luogo rivolta alla comunità sciita, cioè circa un 20 percento dell’intera popolazione afgana, questa si teme ricadrà in larga misura su tutte le donne afgane. E nonostante che Karzai in persona abbia promesso di modificare la legge in senso meno restrittivo, intanto lo stesso Karzai per non alienarsi la comunità sciita, traccheggia.

 
Contemporaneamente nell’intero mondo musulmano accadono fatti sempre più inquietanti. Come ad esempio la fucilazione di venerdì scorso in Pakistan, al confine con l’Afganistan, della coppia di innamorati non sposati. O anche l’assassinio i giorni scorsi da parte dei Talebani di un’attivista dei diritti umani. O l’applicazione della Sharia anche in Paesi come l’Inghilterra dove si rendono sempre più difficili i rapporti tra musulmani e cristiani. O anche nel nostro civilissimo Nord dell’Italia dove i maschi di famiglia musulmana uccidono e seppelliscono nell’orto di casa la ragazza che amoreggia con un italiano. Intanto nel Regno Unito (a Londra, Birmingham, Bradford e Manchester con possibilità di estensione a Glasgow e Edimburgo) la Sharia è stata riconosciuta ufficialmente nelle cause di divorzio e di diritto di famiglia, comprese le cause di violenza maritale. Ovviamente il fatto preoccupa molto più le donne musulmane che gli uomini  in quanto queste non potranno sfuggire al tribunale islamico. Pur occidentalizzate nei costumi, vi dovranno sottomettersi in materia di rapporti famigliari.
 
E la comunità occidentale che fa? Non è il caso di opporre resistenza all’invadenza di usi e leggi che risultano confliggere con le nostre?
 
Alla Conferenza sul razzismo indetta a Ginevra dall’Onu e disertata da Paesi come Olanda, Germania, Israele, Italia, proprio per protesta contro la parzialità dell’evento, il discorso inaugurale è toccato ad Ahmadinejah, il leader iraniano che oltre a pronunciare anatemi contro il mondo ebraico, non si dimostra certo un campione nella difesa dei diritti umani.
 
E’ davvero un segno di fragilità del mondo occidentale vessato da problemi immani e tutto teso a contenere la crisi finanziaria globale? E l’Unione Europea che fa? Perché non leva alta la sua voce?

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