L’Aquila: a cinque mesi dal terremoto, rassegnazione o lotta?

par angelo ludovici
lunedì 7 settembre 2009

La tragedia del 6 aprile non riesce a passare nel dimenticatoio. Si va al Bar o al ristorante per passare qualche ora in santa pace o per dimenticare e alla fine la discussione ritorna sempre su questa esperienza traumatica. Non so se è positivo o negativo, ma sicuramente la rimozione è una cosa diversa dall’oblio

La tragedia del 6 aprile non riesce a passare nel dimenticatoio. Si va al Bar o al ristorante per passare qualche ora in santa pace o per dimenticare e alla fine la discussione ritorna sempre su questa esperienza traumatica. Non so se è positivo o negativo, ma sicuramente la rimozione è una cosa diversa dall’oblio. La rimozione avverrà nel tempo solo se si assumerà il coraggio di agire nelle proprie mani e non si delegherà nessuno a intervenire sulla nostra vita.

E’ da anni che siamo martellati dai media con immagini che producono solo la sensazione di paura: paura dell’altro, paura del futuro, paura del vicino di casa, paura, paura, paura. Non è possibile vivere la vita con questa dimensione. Se accettiamo questa logica accetteremo che la nostra vita segua un piano prestabilito ed invariabile, delegheremo il potere ad altri che promettono la soluzione del problema. Perciò la rimozione del trauma del terremoto può essere rimossa solo se diventeremo protagonisti del nostro futuro, solo se eserciteremo fino in fondo l’esercizio democratico che la nostra Costituzione repubblicana garantisce a tutti i cittadini. In questi cinque mesi circa centomila cittadini del comprensorio dell’Aquila hanno vissuto sulla propria pelle questa dimensione. Il governo, tramite la protezione civile, ci ha garantito di tutto: dalla tenda all’albergo, dai cessi ai bagni con doccia, all’aria condizionata.

Quello che non ci ha garantito è la crescita democratica, la possibilità di sviluppare relazioni sociali diverse, dove si poteva riscoprire l’amicizia vera, quella fraterna, che si cimenta in momenti difficili. Nei campi è prevalsa una logica quasi militaresca, repressiva, autoritaria. Quando si andava a pranzo le TV nei campi erano sempre sintonizzate su Canale 5, le possibilità di leggere i giornali o di navigare su internet (ad eccezione nel campo gestito dalla CGlL di Coppito) sono state inesistenti, la possibilità di riunione neanche a pensarci. A quel punto, nel momento in cui è mancata la democrazia vera, è prevalsa la divisione, la chiusura in se stessi, la paura del vicino. Ed è in questa situazione che la figura del Presidente del Consiglio assurge consapevolmente per lui e inconsapevolmente per gli altri a quella del salvatore, di colui che risolve il problema. Non interessa a nessuno che Silvio Berlusconi sia indagato, rinviato a giudizio. ecc. Si è quasi ipnotizzati. E’ questa l’arma che i governi usano spesso per far dimenticare i veri problemi. Non interessa che case di cartongesso siano costate all’erario ben 2500/2700 Euri al mq, non interessa che la protezione civile abbia usato con discrezionalità assoluta il potere di espropriare, di aggiudicare, di non pagare ancora i fornitori, di non accreditare ancora i fondi per l’autonoma sistemazione ai Comuni, di fare manifesti giganti di 30 mq per pubblicizzare cose che basta il passaparola perché i cittadini si rechino agli uffici. Non interessa che dopo il terremoto del 6 aprile, la nostra città, il nostro territorio venga sottoposto ad ulteriori violenze.



Quella che si sta costruendo (non ricostruendo) non è più la nostra Città. La riapertura del Centro storico è solo una finzione. In realtà si naviga a vista. L’Amministrazione comunale non ha un progetto sulla ricostruzione ed eventualmente ce l’abbia, è un mostro che nasce nei cassetti di tecnici che non hanno la buona abitudine di confrontarsi con la Cittadinanza. Altri mostri sono stati partoriti da questa mentalità ed il Sindaco ne è stato il primo oppositore: ad esempio al progetto metropolitana. Perciò non comprendiamo gli elogi pubblici per funzionari che finora hanno trasformato l’Ufficio pubblico in “bottega”; l’interesse personale è prevalso su quello generale. I danni provocati sono stati troppi e sono sotto gli occhi di tutti. Così come non comprendiamo l’ipotesi di “Giunta istituzionale”. Un’amministrazione riflette sicuramente i rapporti sociali ed il terremoto probabilmente li ha modificati. Ma li ha modificati a tal punto che le scelte non possono essere una mediazione al ribasso, non possono essere l’alibi per una scorciatoia politica dove non le imprese ritrovano una loro possibilità di radicarsi meglio nel territorio locale e nazionale, non i commercianti, non i lavoratori, non i giovani o le donne senza lavoro ritrovano la loro centralità, ma solo quei poteri locali che agiscono sempre dietro le quinte. Poteri occulti che sono di copertura ad una classe dirigente mediocre che pensa di vivere di rendita di posizione perché c’è qualcuno che li protegge. E’ questa la debolezza dell’apparato comunale e di fatto, con l’ultima pseudo riorganizzazione è prevalsa la logica del potere di ricatto delle lobby, delle logge, dei soldi, di chi guadagna di più, ma non l’idea di far funzionare meglio il Comune per dare risposte alla cittadinanza.

 

La Città di L’Aquila e i suoi cittadini si trovano a un bivio, devono scegliere il loro futuro. La situazione è così grave che dopo l’ipnotizzazione dei campi o degli alberghi sul mare, non vorremmo che subentri la rassegnazione, il pensare che la nostra Città non sarà ricostruita, che ci vuole troppo tempo, che la classe intermedia, che è la maggioranza della popolazione, non ricorderà la sua ricostruzione.

Le ferite di questo terremoto sono tremende e non vorremmo aggiungerne altre, non vorremmo che la predizione di Ignazio Silone pubblicata sul quotidiano “Il Tempo” del 13 gennaio 1958 e riferita al terremoto di Avezzano del 1915 ritorni d’attualità: “Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie...Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia, per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli, frodi, furti, camorre truffe, malversazioni di ogni genere cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della conclusione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in dopo terremoto o in un dopoguerra”.


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