Krugman: "Nessuno capisce il debito", i Nobel per l’economia scelgono la sovranità monetaria

par Maurizio Mottola
mercoledì 18 gennaio 2012

Il 1 gennaio 2012 il New York Times ha pubblicato un articolo del premio Nobel per l'economia Paul Krugman intitolato "Nessuno capisce il debito". Secondo Krugman a causa di una diffusa ignoranza la politica statunitense sta dando un'importanza esagerata al problema del debito, che invece sarebbe di gran lunga secondario rispetto ad altri aspetti dell'economia, ed in particolare alla disoccupazione.

Nel breve articolo si chiariscono le fondamentali differenze tra il debito di uno Stato e quello di una famiglia, facendo riferimento anche ad altre economie, dove il debito pubblico (o sovrano) è rimasto superiore al 100% del prodotto interno lordo per molti decenni senza causare disastri (come in Inghilterra per quasi la metà degli ultimi 170 anni). 

In sostanza il creditore del debito pubblico è in larga misura lo Stato stesso. E se è vero che il debito è in parte in mano a soggetti esteri, è anche vero che gli Usa detengono anche molto del debito di altri Stati. La differenza principale starebbe nel fatto che le famiglie devono effettivamente restituire il debito a qualcuno, mentre gli Stati devono solo preoccuparsi di evitare che il debito cresca più velocemente della propria base tassabile.

Il debito appesantisce l'economia costringendo lo Stato a riscuotere più tasse, ma non la soffoca di per sé. La conclusione evidenzia come ora sia necessario che il governo Usa spenda di più, ma un'ossessione generale dovuta ad una errata informazione tende a impedirlo. La disinformazione circolante sul debito parrebbe promossa da coloro che più hanno da temere su un effettivo aumento delle tasse, ossia i grandi patrimoni (dato che i lavoratori sono già oltre il limite della capienza), nell'intento di assicurarsi che le loro esigenze prevalgano su quelle dei disoccupati e, in definitiva, della nazione. 

Già precedentemente Paul Krugman, partendo da un assunto keynesiano ("È l'espansione e non la recessione, il momento giusto per l'austerità fiscale”) aveva criticato le politiche recessive neoliberiste e neomonetariste (come quella di Monti, per esempio, o quella imposta alla Grecia e ad altri paesi), in quanto faceva notare che l'austerità dovrebbe essere rimandata fino a che una forte ripresa dell'economia è ben avviata.         

Il punto è proprio questo: in buona sostanza, mentre per i neoliberisti le crisi sarebbero fenomeni passeggeri assorbibili grazie a meccanismi spontanei di mercato, per Keynes si tratta di uno squilibrio che può essere ricondotto in equilibrio grazie ad un adeguato intervento dello Stato, ossia è necessario produrre domanda aggiuntiva (“aggregata”) tramite l’intervento di spesa, l’azione sul saggio d’interesse, la politica fiscale, determinando la massa complessiva degli investimenti e quindi del credito e della moneta.

Pertanto una politica economica espansiva di tipo keynesiano (così come invocata da Krugman) è senz’altro preferibile rispetto alle inefficaci politiche recessive neoliberiste. Comunque uno Stato (con moneta sovrana) ha da investire non riversando soldi a pioggia, ma con “investimenti socialmente responsabili” e con “investimenti economicamente mirati” ed in Italia ci sono varie opportunità: energia alternativa, produzioni agrarie ed alimentari di qualità, recupero dei monumenti storici e del paesaggio, valorizzazione delle bellezze naturali ed artistiche, rete turistica riattrezzata ed appetibile, ricerca.

Investire così (anche a debito, se non si possono utilizzare gli ingenti capitali dei fondi pensione dei lavoratori) è l’unico modo (ovviamente impegnativo) di crescere e svilupparsi. Condizione basilare è il recupero della sovranità monetaria. Lo Stato sovrano è l'unico che può creare moneta dal nulla. I principali Stati a moneta sovrana sono: Usa, Gran Bretagna, Norvegia, Giappone, Svizzera, Russia, Cina, Brasile.

Gli USA hanno creato dal nulla decine di trilioni di dollari negli ultimi anni ed hanno un inflazione inferiore all'area euro. Il Giappone ha rapporto debito/PIL di oltre il 200% (contro il 120% dell'Italia) e non soffre di iperinflazione, né ha la disoccupazione giovanile al 30% come accade in Italia. Lo Stato a moneta sovrana crea la sua moneta, non la prende a prestito a tassi del 7% da terzi. Gli Stati come la Gran Bretagna, che hanno la propria moneta, emettono buoni del tesoro a tassi ridottissimi, inferiori al 2%, in quanto hanno quella che è la "ability to pay", per cui sono considerati più affidabili e solvibili degli stati dell'area euro (che debbono indebitarsi ulteriormente o tassare per poter reperire capitali).

L'Italia, che deve prendere l'euro a prestito sui mercati, ogni anno paga il 5% medio sui 1900 miliardi di euro di debito pubblico. Necessita di 100 miliardi di euro l'anno solamente per pagare gli interessi. Tutte le valute sovrane dei principali paesi occidentali sono oggi considerate "bene rifugio", in quanto tali Stati non possono tecnicamente diventare insolventi: lo Stato che ha la sua moneta può sempre ripagare il proprio debito, in quanto all'occorrenza può stampare la propria moneta sovrana (“fiat”, cioè dal nulla).

Del resto è proprio un finanziere d’assalto - Charles Dallara dell’Institute of International Finance americano - ad affermare a proposito della Grecia: “Temiamo la loro impossibilità di onorare il debito denominato in una moneta straniera, cioè l’euro, non il debito in sé!”. Inoltre la Spagna ha un debito pubblico appena sopra il 60% del PIL, che è proprio l’obiettivo virtuoso del Patto di Stabilità voluto dalla Germania per l’euro: perché allora la Spagna si trova tra i paesi preda della speculazione dei mercati? Perché è priva di moneta sovrana! Ancora: dal 1994 al 1998 l’Italia (della lira sovrana) accumulò un debito stratosferico, fino a un picco del 132% del PIL (!), ma nulla accadde. Inoltre ecco cosa ha dichiarato in questi giorni proprio Standard & Poor’s, che ha declassato l’Italia:

Le riunioni dei leader della UE si concentrano sui temi sbagliati. L’adozione di pacchetti di austerità per ridurre i deficit non identificano i rischi reali. Infatti durante i primi 10 anni dell’euro la Germania aveva uno dei deficit più alti in assoluto, mentre la Spagna aveva pareggio di bilancio.


La Spagna, che era un modello di disciplina di bilancio, è finita in sofferenza, mentre la Germania, che aveva una pagella pessima, non si trova in difficoltà, in quanto esporta tanto in tutto il mondo, e non perché l’euro funzioni.

I mercati ancora (per poco) prestano alla Germania solo perché sanno che essa può ripagare i debiti grazie a quell’export immenso. Non perché abbia l’euro. Se i tedeschi non avessero la carta delle esportazioni da giocarsi, starebbero in compagnia di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna. 

Ed infatti la Francia è sotto attacco dai mercati sempre di più, perché ha l’euro senza possedere l’arma potente del grosso volume di esportazioni come i tedeschi. Non è il debito pubblico il problema, non è il deficit, ma la mancanza di moneta sovrana! Inoltre gli altri paesi europei stanno condannando i paesi in difficoltà a sbrigarsela da soli (il pareggio di bilancio per legge è una maniera eufemistica di dire “ognuno se la sbrighi da solo”!) e non hanno il minimo interesse a farli riemergere, se non alle condizioni di svendita del patrimonio pubblico e relativo impoverimento dei cittadini.

Comunque è impossibile risanare un’economia tassandola allo stremo e però impedendo allo Stato qualsiasi spesa pro cittadini che sia anche di un centesimo superiore a quanto i cittadini devono restituire in tasse, cioè imponendo il pareggio di bilancio. Se lo Stato spende 100 per i cittadini ma poi li tassa 100, cioè fa il pareggio di bilancio, cittadini ed aziende vanno a zero. E come faranno cittadini ed aziende a rilanciare l’economia se per anni andranno a zero con i loro risparmi?

La ricchezza di cittadini ed aziende (risparmi), senza l’apporto dei soldi dello Stato è una quantità fissa chiusa in un contenitore stagno. Non aumenta, cioè i risparmi non aumentano da sé. Gira in tondo, passa da mano a mano, passa da qui a là, e da là a qui, e basta. E se, come oggi, quella ricchezza è scarsa ed in calo, chi può investire in produzione ed in posti di lavoro? Nessuno, zero. E se, come oggi, Mario Monti restringe ancora di più tale ricchezza attraverso l’austerità, saranno crisi ed ancora crisi, ma volute per cristallizzazioni ideologiche ed erronee analisi della realtà.

Solo se lo Stato può immettere denaro nuovo in circolazione più di quanto tolga ai cittadini in tasse, cioè se “non farà il pareggio di bilancio”, cittadini ed aziende avranno risparmio da investire in economia ed occupazione. Ma questa iniezione vitale di liquidità è possibile solo con una moneta che lo Stato può creare da sé (“fiat”, dal nulla), cioè una moneta sovrana, non l’euro.

Infine negli USA per salvare il sistema bancario sono state utilizzate somme strabilianti di denaro pubblico ed in Europa - invece dei 5.000/10.000 miliardi di euro occorrenti - sono stati messi a disposizione solo 489 miliardi di euro per il “Quantitative Easing” (un salvataggio fatto dalla Banca Centrale Europea a forza di denaro immesso nelle riserve delle banche fallite: non sarebbero però soldi dei contribuenti, ma semplicemente denaro inventato dal nulla -“fiat”- dalla BCE)!

Se non si cambia politica economica si sprofonda nella recessione e poi nella depressione. La Storia ha cambiato pagina e, a meno di eventi di natura e portata straordinaria, le convenzionali ricette definibili “rigoriste” non sono in grado di salvare il sistema, tanto è vero che Joseph Stiglitz -altro premio Nobel per l’economia - è arrivato a dire: 

Oggi la gente comune perde, mentre la grande finanza guadagna ancora di più. Bisogna imporre tasse molto alte sui guadagni di capitale. Oggi è più vantaggioso speculare che lavorare per vivere. Deve tornare ad essere il contrario.

Dunque, Mario Monti non sarà mai premio Nobel per l’economia.



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