Kony 2012, il video che fa discutere. Power to the people?

par Elisa Lai
lunedì 12 marzo 2012

Si chiama "Kony 2012": è il video che l'ONG americana Invisible Children ha diffuso il 5 marzo 2012 tramite Youtube e Vimeo allo scopo di trascinare davanti alla International Criminal Court il guerrigliero ugandese Joseph Kony, capo della Lord's Resistance Army. Kony, nell'arco di poco più di vent'anni, ha rappresentato una minaccia costante per i bambini dell'Uganda settentrionale: le incursioni dei suoi guerriglieri nei villaggi della regione hanno portato al rapimento e all'uccisione di decine di migliaia di bambini, destinati a divenire soldati del movimento o schiavi sessuali di Kony. 

In cinque giorni il video ha già superato settanta milioni di visualizzazioni ed è al centro di un tam tam mediatico incessante, alimentato dal passaparola e dalle condivisioni a catena su blog e social network come Facebook e Twitter. Il sentimento che serpeggia tra gli utenti del web è prevalentemente unanime: Joseph Kony va fermato, e noi possiamo fare qualcosa. Cosa? "Make Kony famous", evitare che la vicenda venga dimenticata dai "grandi" del mondo, parlando di lui, diffondendo il video, acquistando per 30$ gli "action pack" firmati Invisible Children contenenti manifesti, adesivi e braccialetti che sponsorizzano il progetto. Rendere Kony famoso per tenere alta l'attenzione dell'opinione pubblica sul problema e gettare luce sulla realtà degli "invisible children", costretti a continui viaggi dai villaggi ai rifugi dei centri abitati più grandi per evitare il rapimento. Rendere Kony famoso per stimolare un intervento degli Stati Uniti, che nel novembre dello scorso anno hanno inviato un plotone di cento soldati per addestrare e sostenere l'esercito ugandese nella caccia a Kony. 

L'enorme successo del video non dovrebbe stupire. Kony 2012 è sicuramente un prodotto confezionato con un package d'eccezione. Jason Russell, Bobby Bailey e Laren Poole, i fondatori di Invisible Children Inc. sono esperti comunicatori e film-makers, e questo si riflette sulla qualità estetica dei loro video e sulla loro efficacia pubblicitaria: sono chiari, puliti, lineari e capaci di puntare dritto al cuore dello spettatore attraverso l'uso della musica e di un montaggio ben studiato. Sanno come promuovere la loro causa, sanno come colpire e commuovere gli animi dei giovani, il target a cui tendenzialmente si rivolgono. 

Ma non sempre promuovere il bene equivale a farlo.


Buoni contro cattivi

In primo luogo, Kony 2012 si propone come un documentario volto a tenere alta l'attenzione su un problema, ma del carattere informativo del documentario ha ben poco. Sarebbe interessante chiedere a tutte le persone che hanno visto e condiviso il video cosa sappiano della situazione ugandese a visione terminata. Gli abili registi del filmato sono riusciti a superare un grosso ostacolo della comunicazione digitale, la scarsa propensione dell'utenza a prestare attenzione a un determinato contenuto per più di dieci minuti (il video dura 29 minuti), ma la struttura e il contenuto del filmato non sono funzionali a una conoscenza della complessità del problema. Non si può pretendere che un filmato di trenta minuti riesca a spiegare la complicata situazione politica e civile dell'Uganda (e che riesca a intrattenere nel frattempo), ma da una ONG votata all'advocacy si dovrebbe pretendere un trattamento dell'argomento decisamente più stimolante dello schema precostituito "buoni-cattivi".

Jason Russell, infatti, ha trovato un modo estremamente efficace per accalappiare l'attenzione volatile dell'opinione pubblica da social network: mettere davanti alla telecamera suo figlio e spiegargli per la prima volta la storia di Kony, durante un tenero dialogo padre-figlio. Il parallelismo tra l'ignoranza del bambino e quella dell'opinione pubblica mondiale è immediato. La storia di Joseph Kony viene allora trasformata in fiaba, con tanto di buoni e cattivi che si muovono in una lanterna magica di semplicismo e superficialità. I protagonisti della vicenda sembrano essere solo due: Joseph Kony, "the bad guy", e Jacob, il bambino che è divenuto il simbolo delle migliaia di "night commuters" dell'Uganda settentrionale. La lotta è tutta fra un uomo diabolico e un esercito di invisibili privi di protezione. La soluzione, allora, sembra semplicissima: eliminato il cattivo, regnerà la pace nel paese dei bambini.

Ma non manca qualcosa all'appello? L'Uganda non ha un governo? Non ha delle forze armate? Durante il filmato l'esercito ugandese (UPDF, Uganda People's Defence Force) viene nominato sporadicamente, per lo più nel momento in cui Russell annuncia orgogliosamente la decisione di Barack Obama di inviare cento soldati in Uganda. Quest'entità "invisibile", per rimanere sullo stesso piano del discorso, non è solo male equipaggiata e poco organizzata, ma è anche un corpo fortemente corrotto, accusato di stupri e saccheggi nella regione. I problemi delle popolazioni ugandesi, dunque, sono ben lungi dal trovare una soluzione grazie a una catena di clic e manifesti affissi nelle città del Nord del mondo, e ancor meno grazie all'uccisione del capo dell'LRA. Kony è un sintomo dei problemi ugandesi (e non solo ugandesi), non il problema. E allora non è forse disonesto proporre al pubblico il facile schema logico "uccisione Kony/ risoluzione del problema"?

"Ovviamente non potevo spiegare a mio figlio dettagliatamente ciò che Joseph Kony fa nella realtà", spiega Russell alla fine del confronto col figlio. E la linea da seguire purtroppo sembra la stessa nei confronti del giovane pubblico, dal momento che la risposta di Invisible Children alle numerose critiche che hanno preso di mira la superficialità del filmato è stata questa: 


KONY 2012 portrays, in no uncertain terms, the image of a madman who manipulates children spiritually for his own tactical gains. In our quest to garner wide public support of nuanced policy, Invisible Children has sought to explain the conflict in an easily understandable format, focusing on the core attributes of LRA leadership that infringe upon the most basic of human rights. In a 30-minute film, however, many nuances of the 26-year conflict are admittedly lost or overlooked. The film is a first entry point to this conflict for many, and the organization provides several ways for our supporters to go deeper in learning about the make-up of the LRA and the history of the conflict. Likewise, our work on the ground continually adapts to the changing complexities of the conflict.

Si può definire il video come "una spiegazione del conflitto in un formato facilmente comprensibile"? Il messaggio veicolato è che esiste un cattivo che fa cose orribili e va fermato. Non si sa come sia nato il Lord's Resistance Army, non si sa perché sia possibile che possa agire indisturbatamente nella regione. Queste circostanze sembrano essere prive di importanza: ci si limita a fornire al mondo una personificazione del male per stimolare una pressione dell'opinione pubblica e un intervento. E' una tattica di raccoglimento dei consensi che è oramai tristemente nota, ma colpisce che arrivi proprio da una Organizzazione Non Governativa.

Come si può pensare che uno spettatore che viene a conoscenza del problema ugandese per la prima volta tramite il filmato IC sia poi stimolato ad approfondire le sue conoscenze sul tema, se ciò che il video propone è una verità preconcetta e non una serie di interrogativi su una realtà estremamente complessa?

Il video si preoccupa di ottenere l'attenzione dell'utente ("You have to pay attention"), ma non lo fa per prepararlo a riflettere. Basta leggere i commenti degli utenti che condividono il video su Facebook: bisogna fermarlo, condividete il video anche se non avete voglia di guardarlo (la maledizione dei ventinove minuti colpisce ancora), poveri bambini, il nostro cuore è con loro.

La parola d'ordine è "cuore", non "cervello". La stimolazione del piano emotivo finisce irrimediabilmente per sbarrare la strada a quella del cervello, che non ha ragione di chiedere, di dubitare, di approfondire. La verità è lì, "sad" come la definisce il figlio di Russell, e tutti ne prendono atto, uniformandosi alla linea di pensiero di un bambino che ama fare il ninja e sogna di diventare come il padre. Ma l'opinione pubblica non ha cinque anni, e dovrebbe poter valutare se il finanziamento e l'appoggio dell'ennesima guerra contro la guerra sia del tutto positivo e auspicabile o possa, al contrario, presentare delle conseguenze deleterie per la popolazione che si vorrebbe aiutare.



L'intervento militare e il "power to the people"

L'invio dei fatidici cento soldati americani a sostegno della caccia ha portato a una vera e propria dichiarazione di vittoria da parte di IC. In Kony 2012, ma anche in un video precedente, la dichiarazione di Barack Obama viene letta ai volontari da un Russell su di giri, mentre in sottofondo il ritornello "Power to the people" fa le veci di colonna sonora del momento. Ma è veramente così? 

Sicuramente un'opinione pubblica informata e consapevole può incidere sulle decisioni del proprio governo attraverso l'attivismo. C'è da chiedersi, però, se tutti gli attivisti conoscano a fondo il background politico-strategico dell'intervento celebrato come una vittoria della gente

 In primo luogo, non è la prima volta che gli Stati Uniti intervengono nella regione. Il video trasmette un messaggio molto chiaro, in cui attivismo e intervento militare - seppure finalizzato al sostegno alle armate locali - sono strettamente collegati da un rapporto di causa-effetto. Il potere delle persone ha portato all'intervento militare: possiamo agire davvero, continuiamo a contribuire. La piramide del potere si è rovesciata grazie a Internet, e ora la base è più potente della piccola punta (vedi immagine). Se si può accettare che una popolazione di giovani entusiasti di poter cambiare il mondo con nottate passate all'aperto pensi davvero che l'attività militare di una nazione dipenda dal desiderio dei suoi cittadini, diventa un po' meno plausibile che l'ONG si culli nella stessa ingenua convinzione. 

Dove finiscono gli interessi politici ed economici statunitensi nella regione? Dove finisce la situazione disastrosa in cui versa l'Uganda, governata da un regime travestito da democrazia? La semplificazione del contesto e l'ingigantimento di un problema particolare finisce per viziare anche il possibile aiuto che una ONG così potente sul piano comunicativo può fornire alle popolazioni ugandesi. Nel mondo del cinema, il primo piano è perfetto per focalizzarsi sulle ombre e tensioni emotive sul viso delle persone, ma impedisce di vedere lo scenario in cui il personaggio si muove. Questo è irrilevante se parliamo di un filmetto per passare il tempo, ma diventa un problema cruciale quando la sopravvivenza di quei personaggi dipende dalle caratteristiche dello scenario che si muove alle loro spalle. 

Probabilmente un intervento militare che punti alla cattura o all'uccisione di Kony porterebbe all'uccisione di tanti bambini-soldato, dal momento che il guerrigliero sceglie la sua guardia personale tra un plotone di tredicenni. IC punta proprio alla restituzione di questi innocenti alle loro famiglie. Allora come possono Russell e i suoi far combaciare l'obiettivo e l'enorme pericolo per i bambini in questione? Non bisogna dimenticare che l'esercito ugandese si è macchiato dei peggiori delitti proprio durante la lotta contro l'LRA.

Per questo motivo altre ONG attive nella regione si oppongono fermamente alla campagna di IC (come Project Diaspora), e caldeggiano un intervento finalizzato al raggiungimento di un accordo di pace, e non l'ennesima militarizzazione della regione (considerando che trovare Kony non è affatto semplice).

Attivismo e identità 2.0

Il successo della campagna fa sorgere alcuni quesiti sulle caratteristiche dell'informazione odierna, più "cinguettata" che verificata. Finché le notizie parziali (quando non palesemente false) si limitano ad eventi di infima importanza come delle ostie impastate con l'LSD il problema rimane su un piano potenziale. Ma quando l'informazione 2.0 diventa il trampolino di lancio per l'attivismo (un attivismo passivo, paradossalmente, esercitabile dalla postazione del pc), le conseguenze del tam tam si fanno sentire sul mondo reale con effetti che non sempre sono positivi. La condivisione acritica e l'assenza di approfondimento sono elementi che impoveriscono la nostra capacità di azione proprio nel momento in cui sembrano accrescerla

Ed ecco che anche la costruzione dell'identità 2.0 che avviene tramite i social network (noi siamo ciò che condividiamo) perde il suo carattere social per avere delle ricadute anche politiche sul mondo reale, quel mondo che dopo il clic dimenticheremo e relegheremo in un cantuccio, per poi ripescarlo in seguito a un ricordo piacevole su un video emozionante.

L'informazione deve davvero ridursi a questo?


Leggi l'articolo completo e i commenti