Kerman, lacrime e sangue
par Enrico Campofreda
giovedì 4 gennaio 2024
Mentre piangevano Soleimani nella sua città natale di Kerman, seicento chilometri a oriente della più nota Shiraz, lacrime e sangue sono diventate una tragica pioggia.
Due esplosioni in successione si sono portate via 180 iraniani in un devastante attentato modello Isis la cui mano sconosciuta - e tale potrebbe rimanere - lancia i sospetti su chi attualmente teorizza di allargare la guerra contro Hamas: il governo Netanyahu. Appena una settimana fa i vertici di Teheran avevano subìto un attacco al cuore della propria gerarchia militare, Razi Mousavi vicinissimo al capo delle Forze Al Quds finché era rimasto in vita, veniva freddato a Damasco con l’ausilio d’un missile. Prodromo di un’azione simile compiuta due giorni fa nel fortino sciita di Beirut, quella Dahieh che non preserva dai droni e ha visto macellato il vice di Haniyeh Saleh Al Arouri. Colpire il Movimento di Resistenza Islamico ovunque, è il piano del premier d’Israele, ma com’è evidente non si vuole stroncare soltanto quella formazione. Usare la fauda per incrementare il disordine nell’intera regione diventa la ragione con cui l’attuale governo di Tel Aviv, che nessun altro orientamento politico interno vuole o riesce a scalzare, prova a salvare se stesso. Senza curarsi di diventare un novello Sansone orientato a distruggere e autodistruggersi, poiché l’allargamento del conflitto questo può significare per lo stesso Stato ebraico. Finora i nemici vicini, Hezbollah, e lontani, Pasdaran, sono stati fermi. Troppo disastrato è il Libano per nuovi venti di guerra, troppo lacerato dall’anno di proteste interne oltreché dalla rovinosa economia, è l’Iran. Su entrambi quei reparti militari pesa il logorante quinquennio di guerra siriana. Però esistono realtà e limiti al di là dei quali entrano in gioco non tanto l’immagine e la fedeltà al proprio orizzonte politico, ma l’integrità territoriale su cui s’insinua l’assalto sionista.
Enrico Campofreda