Chiaramente, sono tutte truffe che devono poter contare su complicità interne. LâInps ha infatti avviato verifiche nel 2010 provvedendo a licenziare cinque funzionari, mentre sono in corso accertamenti per una trentina di dipendenti. Tra gli imbrogli venuti a galla, i contributi gonfiati a 160 aspiranti pensionati: un raggiro da 1,5 milioni. Un’inezia a paragone della truffa per 216 milioni di euro spesi per pagare i sussidi di disoccupazione a 46.123 braccianti stagionali assunti soltanto sulla carta. Il 20 per cento di essi risultavano inquadrati in aziende prive di terreni o con contratti d’affitto scaduti. Tra le attività più fantasiose (chiaramente fittizie) segnalate allâInps, in provinica di Salerno figurava pure un campo coltivato a fragoline di bosco, con un turnover di oltre 200 lavoratori che, però, non avevano raccolto neppure un frutto.
Il vortice delle ruberie non si è fermato nemmeno nel 2011. L’Inps ha reso noto che nei primi sei mesi dell’anno sono state effettuate oltre 30 mila ispezioni, che hanno portato alla scoperta di 29 mila lavoratori in nero e al recupero di ben 345 milioni di euro per contributi non versati. Ma il sommerso riguarda numerosi segmenti sociali e non soltanto lo sfruttamento di reietti e poveracci. I giornali proprio in questi giorni stanno pubblicando gli sconcertanti redditi medi ricavati dalle dichiarazioni Irpef dei lavoratori autonomi: 46.200 euro per i dentisti, 46.700 per gli avvocati, 17.700 per i concessionari di automobili, 14.500 per i ristoratori, 14.300 per gioiellieri e orologiai. Tanto per citare un esempio eclatante, il 12 agosto scorso la Guardia di Finanza di Firenze ha messo sotto inchiesta unâintera famiglia di imprenditori del tessile per una frode fiscale da 10,2 milioni di euro, basata su false fatturazioni e aggiramento dell’Iva. Da gennaio a luglio di quest’anno, inoltre, sempre la Guardia di Finanza ha smascherato truffe ai danni della previdenza per 48 milioni di euro: circa tremila sono i falsi invalidi e i finti poveri fatti emergere, con controlli che hanno portato alla denuncia di 4.400 persone.
E l’evasione, ovviamente, va anche in vacanza.  Uno studio di
Assoedilizia appena pubblicato afferma che il 18-20 per cento delle presenze nelle strutture ricettive è in nero, con un gran fiorire di cartelli del tipo: "Non si accettano pagamenti con assegni e carte di credito". Mentre sotto l’ombrellone, l’
Agenzia delle Entrate sta scoprendo ricavi non dichiarati dagli stabilimenti balneari per oltre 1 milione di euro. Emblematico il caso del litorale romano, dove è emerso un reddito medio pari a 86 mila euro a fronte dei circa 18 mila dichiarati da ogni esercente.
A conti fatti, ogni anno lo Stato è come se rinunciasse a un oceano di soldi. Un oceano frutto dell’economia illegale che ammonta a trecentotrenta miliardi di euro dove si potrebbe andare a pescare, in un momento in cui il governo vara una manovra che promette almeno tre anni di lacrime e sangue ai soliti noti, con più tasse e drastici tagli alla spesa. Nel dettaglio:
150 miliardi, come ci dice la
Commissione parlamentare antimafia, sono il fatturato della criminalità organizzata; 60 miliardi, secondo le stime della
Corte dei Conti, sono il costo pubblico della corruzione, vale a dire mille euro a cittadino neonati compresi; 120 miliardi, infine (e a rivelarlo è direttamente il Ministero dell’Economia), corrispondono all’evasione fiscale. Un dato, quest’ultimo, confermato pure da un recente studio dell’istituto
Krls-Network of Business Ethic e che pone lâItalia al primo posto in Europa per la quota di reddito non dichiarato:Â il 51,1%.
Si tratta di un livello record, superiore di ben 12 punti percentuali a quello del secondo Paese europeo con la maggiore evasione fiscale: la Romania (42,4%). Al terzo posto, in questa classifica dei Paesi evasori, troviamo la Bulgaria (39,8%), seguita dall’Estonia (38,2%) e dalla Slovacchia (35,4%). I tre Paesi più virtuosi, invece sono la Svezia con solo il 7,3% del reddito evaso, il Belgio con il 10,1% e lâInghilterra con l’11,7%. Dunque, l’Italia appare sempre meno un Paese occidentale e sempre più ai margini dell’esclusivo club delle economie sviluppate. Anzi, dai dati si potrebbe quasi concludere che siamo diventati il primo fra i Paesi dell’Est. Nello specifico, i principali evasori italiani si confermano le industrie (32,8%) seguiti da banche e assicurazioni (28,3%), commercianti (11,7%), artigiani (10,9%) e professionisti (8,9%). A livello geografico, l’evasione è diffusa soprattutto nel Nord Ovest (29,4% del totale nazionale), seguito dal Sud (24,5%), dal Centro (23,2%) e dal Nord Est (22,9%). In Lombardia si registra il maggior aumento dell’evasione fiscale con il 14,7%, anche se in termini di reddito non dichiarato il record tocca a Napoli (66%) e Campania (64%) dove 2 commercianti su 3 non rilasciano lo scontrino fiscale.
E che dire delle liquidazioni dei parlamentari, tutte rigorosamente esentasse? Sì, perchè mentre la crisi brucia e molti italiani tremano per le loro pensioni, tredicesime e buonuscite, gli onorevoli (specie quelli col doppio lavoro) possono cominciare a pregustare le ricche liquidazioni che li attendono a fine mandato. I nostri tribuni, infatti, quando smettono di "occuparsi delle emergenze del popolo" percepiscono pure un corposo "Assegno per il reinserimento nella vita lavorativa". Si chiama proprio così. E riguarda una truppa di 446 parlamentari su 945 eletti. Questi signori non solo prendono uno sipendio mensile di 14 mila euro netti; non solo non pagano aerei, treni, autostrade, stadi, ristoranti e quantâaltro; non solo quando compiono 65 anni incassano un vitalizio che va dai 2.500 ai 7.500 euro lordi: quando escono dal parlamento passano a ritirare pure 46.814 euro (se il loro mandato è durato appena una legislatura ma lâimporto può anche essere maggiore), detti tecnicamente "importo non imponibile". Si tratta o non si tratta di una forma legalizzata di evasione fiscale?.
Per non parlare dell’obbrobrio rappresentato dai privilegi della Chiesa cattolica, proprio di quella che un giorno sì e l’altro pure dispensa ramanzine alle laiche istituzioni repubblicane per la mancanza di esemplari sacrifici in tempi di vacche magre che affliggono, in particolare, la prediletta cellula della famiglia.
Il Fatto quotidiano, calcolatrice alla mano, rivela che le attività esentasse del Vaticano costano allo Stato italiano tre miliardi all’anno. A destare la crescente riprovazione dell’opinione pubblica è soprattutto il mancato pagamento della tassa sugli immobili: basta un piccolo spazio per la preghiera (o per le "attività meritevoli" previste dalla legge) e scatta l’esenzione fiscale, anche se l’edificio è un albergo di lusso. E poi l’abbattimento dell’Ires del 50% riservato agli enti di assistenza e beneficenza, e il contributo dell’8 x mille del gettito Irpef dei cittadini italiani, per una cifra che supera i 900 milioni di euro annui. Dalla Chiesa sarebbe lecito attendersi, in una fase così drammatica, un atto di responsabilità e di coraggio, l’effettivo buon esempio sempre predicato e sovente disatteso: almeno la rinuncia all’esenzione dell’Ici per le attività commerciali collaterali ai luoghi di culto. Siamo certi che Colui che scacciò i mercanti dal tempio approverebbe...
Tuttavia, nonostante la crudezza dei numeri, bisogna stare attenti a non generalizzare. E' vero, chi certamente non può sfuggire alle maglie del fisco sono sempre e soltanto i dipendenti e i pensionati, ma questo non vuol dire che tutti gli autonomi, i commercianti o i professionisti sono delinquenti. Così come non tutti i malati sono dei falsi malati. Perchè a sparare nel mucchio si finisce spesso per far pagare le maggiori conseguenze, per l'appunto, a chi fa il proprio dovere di cittadino onesto e a chi i problemi di salute li ha per davvero.
Il cosiddetto ceto medio (soprattutto famiglie, dipendenti e pensionati che pagano regolarmente le tasse) e i veri invalidi (soggetti realmente bisognosi di assistenza e che detengono un effettivo diritto ai benefici previsti dallo Stato) sono i settori più colpiti dal degrado efficacemente descritto, al netto di ogni eccesso ideologico, dalle indagini della stampa e dalle rilevazioni demoscopiche. Un degrado atavico che è iscritto naturalmente nel dna di molti italiani ma che è andato accentuandosi negli ultimi anni, anche per il venir meno di quel fondamentale requisito rappresentato dall'etica nell'esercizio della funzione pubblica, tanto a livello centrale quanto in periferia, e non solo per le radici velenose e difficili da estirpare della criminalità organizzata.
Eppure, non tutti i dati sono negativi e tanti italiani sembra che non sopportino più chi fa il furbo con il fisco. Da un'indagine di Confesercenti/Ispo emergono giudizi chiaramente improntati ad un severo rigore in materia fiscale. E a bocciare l'elusione fiscale sono tre italiani su 4, che significa che a dire no ai "furbetti del 730" é il 79% dei cittadini. "Un atteggiamento che si accompagna all'esigenza sempre più evidente di un fisco che cominci ad invertire la marcia per diventare gradualmente meno pesante", indica la ricerca. Da cui emerge pure l'esigenza di "una riforma fiscale che pesi meno su famiglie e imprese", oltre a una forte preoccupazione per l'inarrestabile crisi finanziaria. A livello territoriale, il "pollice verso" sul fenomeno dell'evasione fiscale cresce in modo consistente al Centro (62%) e al Sud (50%). Al Nord, invece, oscilla su valori intorno al 40% in assoluta controtendenza.
La presenza nel Paese di una ampia (e presunta) maggioranza virtuosa che - soprattutto nella fase più acuta di crisi - non è disponibile ad essere tollerante, viene segnalata anche da un altro test. Di fronte alla considerazione che si può "pensare ai problemi economici personali e non pagare qualche tassa", la percentuale di chi non è d'accordo su questa tesi si attesta al 76%. Resiste, tuttavia, quasi un quarto della popolazione che sembra voler giustificare un atteggiamento egoistico o di "sopravvivenza" costi quel che costi. Fra questi ultimi, però, emerge un 36% di persone in cassa integrazione o che ha perso il lavoro. Quelli che sono a favore di un comportamento corretto si trovano in particolare fra i soggetti più acculturati. Nel gruppo degli indulgenti verso comportamenti non corretti, oltre alla fetta cospicua dei disoccupati, seguono il 5% delle casalinghe, il 22% dei lavoratori dipendenti con basse qualifiche e, ancora, il 17% dei pensionati, tutte "categorie sociali che subiscono i colpi più pesanti della fase recessiva ed esprimono molto probabilmente - evidenzia la ricerca - anche la rabbia nei confronti dello stato di disagio che sono costrette a subire, rispetto a una società che non garantisce stabilità del lavoro ed è carente in termini di equità". Vi sono fra loro poi molti imprenditori e professionisti, intorno al 20%.
Uno Stato veramente civile e democratico, specialmente in Occidente, deve essere in grado di colpire in modo selettivo le mele marce e di rimuovere ogni incrostazione che inquina in modo quasi esiziale il proprio tessuto sociale, garantendo e proteggendo nel contempo i cittadini più deboli. E qui interviene l'interrogativo decisivo: siamo certi che lo Stato italiano, quello stesso Stato che continua in modo egoista ad accanirsi ad ogni manovra economica sempre e solo sulla classe media risparmiando, appunto, i furbi e gli evasori e proteggendo se stesso (la casta), e che si conferma incapace di tutelare i propri giovani dalle insidie del presente e di affidare loro le redini del futuro, possa farsi carico dei bisogni degli invalidi, dei disabili, degli anziani e degli immigrati che, messi assieme, stanno divenendo la parte preponderante della nostra ammorbata società?
Non basta lavarsi come sempre le mani, scaricando sui cittadini il dovere civico della responsabilità. Gli
spot del governo che in questo periodo vengono mandati a ripetizione sulle reti Rai, e che ci invitano a richiedere la ricevuta fiscale o lo scontrino quando usufruiamo di una prestazione o effettuiamo un acquisto, sono un ipocrita "specchietto per le allodole". Se lo Stato, il governo, vogliono davvero delegarci il compito di impartire lezioni di equità e di giustizia sociale che si facciano pure da parte: ne uscirebbero con le ossa rotte e con il conto in banca più leggero. Dare una risposta, innanzitutto e fino in fondo da parte delle istituzioni, magari con manovre economiche che colpiscano i furbi e i parassiti e si sforzino di premiare gli onesti, è invece quanto mai necessario ed urgente. Prima che la gente comune e perbene e innanzitutto i giovani, si accorgano finalmente che senza una reazione forte sono destinati ad accrescere la già folta schiera degli "ultimi".