Italia, sesso, lavoro e ipocrisia

par Lucina Di Meco
martedì 5 febbraio 2013

Ci sono vari svantaggi del vivere a New York: un clima orrendo, gelido d’inverno e infernalmente caldo d’estate; la convivenza costante con insetti e rodenti, che entrano nelle case attraverso ogni buco per andare a morire in trappoline stile Tom e Jerry; una metropolitana peggiore che in molti paesi in via di sviluppo: cara, strapiena, vecchia e sempre in ritardo (anche se di ritardo tecnicamente non si potrebbe parlare, visto che per lo più non esistono orari per i treni).

 

Tra i vantaggi, però, c’è quello di vivere in un ambiente libero, multietnico e multiculturale, in cui si incontrano persone con percorsi di vita diversi e originali, capaci aprirti nuovi orizzonti ogni giorno. Audacia Ray (Dacia), 33 anni, è una di queste persone.

Ex lavoratrice del sesso, ex produttrice di film pornografici, attivista per i diritti delle lavoratrici del sesso, professoressa universitaria, specialista in comunicazione e autrice di un best seller, Dacia è praticamente una forza della natura. Ci siamo conosciute quattro anni fa lavorando all’International Women’s Health Coalition, dove, insieme, abbiamo lanciato la campagna online contro una riforma costituzionale della Repubblica Dominicana che metteva a rischio i diritti riproduttivi delle donne. Oggi Dacia è fondatrice e direttrice del Red Umbrella Project, un’organizzazione che difende e promuove i diritti delle lavoratrici del sesso attraverso workshops, campagne di comunicazione e eventi i cui protagonisti sono gli stessi lavoratori e lavoratrici del sesso.

Parlando con Dacia, mi rendo conto che anche se non esiste un modello ideale, ci sono delle linee guida da considerare quanto alla regolamentazione dell’industria del sesso.

1) La criminalizzazione della prostituzione e del lavoro sessuale crea molti più problemi di quanti non risolva, rendendo più difficoltoso proteggere la salute e l’incolumità fisica delle lavoratrici del sesso (oltre che a quella dei clienti), cosi come garantire i loro diritti umani e civili.

2) Per raggiungere una situazione di pieno diritto, è essenziale che i lavoratori e le lavoratrici del sesso abbiano voce in capitolo sulla formulazione delle leggi e le politiche che li riguardano.

3) Pensando a politiche sul lavoro sessuale, è importante considerare che la prostituzione è solo una delle varie forme di lavoro sessuale. Altri tipi di prestazioni non comportano necessariamente un rapporto o nemmeno un contatto fisico, per esempio il sesso virtuale o telefonico e l’attuazione in contesto sadomaso. Per questo, è improbabile che una sola politica o normativa possa applicarsi a tutti i casi.

4) Molte delle lavoratrici del sesso non hanno altre opzioni valide di lavoro per via del contesto economico e giuridico in cui si trovano, come alle volte accade alle immigrate clandestine. Per questa ragione, qualsiasi politica sull’industria del sesso deve essere considerata insieme alle politiche sull’immigrazione e sull’occupazione.

In Italia, la legge Merlin del 1958, abolendo la regolamentazione della prostituzione, ha di fatto creato una situazione in cui le lavoratrici del sesso, pur non svolgendo un’attività di per sé illecita, quasi mai possono esercitare legalmente la professione, senza incorrere in reati di favoreggiamento o sfruttamento.

Questa situazione è esemplare dell’ipocrisia italiana quanto al lavoro sessuale e alla sessualità. Il presupposto teorico della normativa è che prostituzione implichi sfruttamento poiché nessuna donna sceglierebbe liberamente di offrire servizi sessuali in cambio di denaro. Il presupposto morale è una visione della donna come essere debole, fondamentalmente virtuoso, ma facilmente manipolabile.

Le conseguenze di questo approccio sono 70,000 prostitute che esercitano in Italia, molto spesso sulle strade, quasi sempre in modo insicuro. Molte di queste donne sono immigrate clandestine, alcune sicuramente minorenni e/o costrette.



Le cose non cambieranno fino a quando società e politica non saranno disposte a iniziare un dialogo serio sul lavoro sessuale e la sessualità e a ascoltare le storie delle lavoratrici del sesso, al di là delle parabole di dannazione e redenzione raccontate dalla maggior parte dei media. Perché il lavoro sessuale è un lavoro scelto, in molti casi, semplicemente in mancanza di altre opzioni migliori e dettato dal bisogno di pagare l’affitto o la scuola dei figli. In questo, non è in fondo molto diverso da tanti altri lavori che ci troviamo a fare in tanti e tante ogni giorno, anche se non sono certo il sogno della nostra vita.

Da femminista, ho sempre pensato alla pornografia, la prostituzione e il lavoro sessuale in genere come legati a un’oggettificazione della donna che, in una società moderna, vorrei vedere eliminata piuttosto che regolamentata. Eppure ripensandoci, dopo aver parlato con Dacia, mi sono resa conto che oggettificazione e ineguaglianza sono cause e non conseguenze del lavoro sessuale e come tali vanno risolte con urgenza, in modo separato da questo. E soprattutto ho capito che lavoratori e lavoratrici sessuali, come tutti gli uomini e le donne, meritano la possibilità di definire le loro necessità e presentare proposte sulle politiche che li riguardano. Le cose non cambieranno finché non saranno loro ad avere la prima parola, raccontando la loro storia da protagonisti e non da comparse. Non so se allora diminuirebbe la prostituzione, ma sicuramente l’Italia ne uscirebbe un Paese più onesto.


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