Italia: ogni anno un po’ più corrotta e sempre più povera

par Daniel di Schuler
martedì 19 febbraio 2013

Transparency International, l’organizzazione internazionale che si occupa di lotta alla corruzione, si interessa spesso al nostro paese. Il 14 di questo mese, dopo le infelici dichiarazioni con cui Silvio Berlusconi rivendicava la normalità delle mazzette, almeno in certe realtà, è tornata a farlo, pubblicando sul suo sito un articolo intitolato “Promemoria all’Italia: le tangenti sono un reato”.

I soliti anglosassoni che ci vogliono male? Qualcuno potrebbe sospettarlo, considerando che nella classifica degli stati meno corrotti, stilata alla fine del 2012 dalla stessa Transparency, l’Italia, che già era assai poco brillante 69esima, è scesa al 72esimo posto, penultima tra i paesi con economie più o meno sviluppate (ultima la Grecia, a conferma che corruzione, conti pubblici sgarrupati e crisi economica vadano a braccetto) e alle spalle del Lesotho e del Ruanda

È però il nostro ministero della Funzione Pubblica a comunicarci (sapranno i suoi tecnici come hanno fatto a calcolarlo) che da noi la corruzione fattura 60 miliardi l’anno; quanto in tutto il resto d’Europa. Sono gli imprenditori stranieri in coro a confermarci che in Italia non si può più lavorare, semplicemente rifiutandosi di investire da noi. Già lo facevano poco; nell’ultimo biennio hanno dimezzato i soldi riversati nella nostra economia: a certi sistemi, non riescono proprio ad abituarsi. Siamo tutti noi, soprattutto, a dimostrare quanta poca trasparenza vi sia nella nostra società. Non paghiamo mazzette, certo, ma cercare qualcuno che possa darci una mano, perché una pratica si sblocchi, un documento arrivi o un servizio sia ripristinato, è la nostra prima reazione. Non crediamo più al diritto, per il semplice motivo che il diritto non c’è più (perlomeno in tempi dignitosi), e ci inginocchiamo di fronte all’autorità (a volte quella infima di un impiegato comunale) chiedendo il favore.

Conseguenza di una burocrazia intricatissima, cresciuta a dismisura alla pari con la complessità delle norme che ne giustificano l’esistenza? Certo. E pure di una forma mentale tutta nostra, naturale evoluzione del nostro atavico familismo, che ci fa chiudere un occhio, o anche due, davanti a certi comportamenti. Nessuna condanna sociale colpisce il corrotto o il corruttore; si arrangiano, un po’ come tutti. Tuona contro la corruzione, il giornalista, dalla sua redazione infarcita di figli di. Lancia appelli per un paese pulito, l’intellettuale, mentre scrive una lettera di raccomandazione per quel bravo giovane che gli è stato suggerito da un amico di un amico.

Le mazzette costano sia alle imprese che allo stato; ad esempio comportano, secondo la magistratura contabile, un 40% di rincaro nei prezzi a cui sono appaltate le opere pubbliche.

La densa melassa della nostre distorte relazioni sociali, costa molto di più. È la causa prima del nostro declino: la ragione per cui tanti giovani rinunciano alla propria vocazione o per seguirla se ne debbono andare all’estero (in patria, è risaputo, senza l’appoggio di qualche mammasantissima, certe carriere non si possono neppure iniziare); il motivo, in modo speculare, per cui altri ragazzi, magari bravissimi a fare altro, si condanno ad una tranquilla infelicità, scegliendo per il proprio futuro, solo perché possono contare su un spintarella parentale o d’altro tipo, un settore per cui non hanno alcun vero interesse.

Talenti sprecati, tanto i primi quanto i secondi, da un paese che, non avendo altre risorse, non potrebbe permetterselo; da questa nostra Italia eternamente immobile, impervia a qualunque cambiamento, che, ingessata nelle proprie contraddizioni, si sta vedendo sfuggire un benessere che pareva conquistato per sempre ma che per tanti è già solo ricordo.


Leggi l'articolo completo e i commenti