Israele non vince, Hamas non perde

par Emanuele Canvas
lunedì 19 gennaio 2009

La "breve" guerra tra Israele e Hamas è un altro episodio, non l’ultimo temo, di un conflitto di civiltà e di visioni sociali, politiche ed economiche che nasce e si nutre soprattutto della concreta disputa territoriale e di risorse economiche; è anche però una guerra per interposta persona, perchè nel conflitto si specchiano strategie geopolitiche internazionali ben maggiori, l’Occidente e l’Islamismo.

Un’amica giurista ha osservato che le elezioni palestinesi del 2006, vinte dal partito estremista e terrorista Hamas eppoi non riconosciuto come legittimo partner negoziale, sarebbero state "volute" dagli USA: volute o no dagli Americani, le elezioni libere successive alla morte di Arafat hanno segnato indubitabilmente un enorme passo avanti nella democratizzazione del popolo (dei popoli?) palestinese. Hamas ha vinto? Non è esatto affermarlo: la necessaria premessa è che i Palestinesi sono un coacervo di tribù e clan divisi su tutto (integralismo religioso, fede politica, strategia militare, interesse economico) e le due maggiori, Al Fatah, o Fath, (ormai più laico) e Hamas (integralista fanatico), erano e sono presenti in modo disomogeneo sul territorio cosiddetto palestinese; Fath è maggiormente presente in Cisgiordania mentre Hamas nel nord dei territori occupati da Israele e soprattutto nella Striscia di Gaza.
 
Chi ha dunque vinto le elezioni? Hamas, si diceva. Ma come? E qui, come proprio stamattina si scrive sul Corriere, va fatta una precisazione tecnica: è stato un errore sperare che gli uomini del Fatah potessero vincerle; Abu Mazen e Al Fatah commisero la più paradossale delle ingenuità politiche, presentando in molte circoscrizioni tre candidati contro quello solitario di Hamas, pur sapendo che uno soltanto sarebbe stato eletto. Con un po’ più di scaltrezza, il risultato sarebbe stato diverso.
 
Dopo le elezioni si scatenò la guerra civile interna ai Palestinesi tra Hamas e Al Fatah col risultato, per farla breve, che Gaza venne da Hamas completamente "ripulita". Contemporaneamente, però, il moderato presidente Abu Mazen (di Al Fatah) affidava l’incarico di formare il governo ad un esponente di Hamas nella speranza di recuperare la stabilità e spegnere l’incendio della guerra civile: vanamente! Il risultato degli ultimi anni è che la Cisgiordania e l’Autorità Nazionale Palestinese legittima non hanno più alcuna reale giurisdizione a Gaza dove domina (con regime di terrore e totale illiberalità) Hamas. Non solo: negli ultimi otto anni la Cisgiordania, pur tra difficoltà e tentennamenti, ha imboccato la strada della vera democratizzazione e della laicità dello Stato, sostenuta dal regno giordano e dall’Egitto; a Gaza, invece, Hamas perpetua il sogno di rovesciare lo stato israeliano senza pensare a sfamare il proprio popolo se non con l’odio e il fondamentalismo, utilizzando gli aiuti economici per acquistare armi e costruitre tunnel per contrabbandarle.

Come si potrebbe dare credito a un "partito" di Hamas? Tu avresti fiducia in un partito delle Brigate Rosse, nel partito Harri Batasuna basco, nel partito dell’Ira irlandese? Ovunque, con le armi, non si può chiedere alcuna legittimazione internazionale.
 
Sull’origine del conflitto arabo-israeliano e, oggi, palestinese-israeliano, si possono spendere parole al vento quanto si vuole: chi abbia la titolarità per stanziarvisi è opinabile, sia che si sostengano i Palestinesi che gli Israeliani (o gli Ebrei, tout-court); gli Ebrei c’erano prima dell’occupazione romana, gli arabi poi, e per tutto l’Ottocento e soprattutto a cavallo tra i sec. XIX e XX, il movimento sionista favorì il ritorno degli Ebrei in Palestina. Il nazismo diede la spinta maggiore. La verità è che quando, dopo la nascita di Israele nel ’48, gli Stati arabi attaccarono il neonato stato, gli Israeliani si difesero, come pure fecero successivamente (anche quando attaccarono preventivamente qualche giorno prima di venir attaccati dagli egiziani che già avevano ammassato truppe ai confini del Sinai); per quanto riguarda Israele, almeno fino al 1967, gli arabi palestinesi avrebbero goduto di una relativa stabilità politica e prosperità economica nei Territori che oggi sono occupati, se non fosse accaduto l’ennesimo nuovo attacco, così come ancora nel ’73-’74.

La verità vera è che da cinquant’anni i Palestinesi sono "ostaggio" anzi "olocausto" della propria stessa causa strumentalizzata dagli altri Stati arabi prima e dai movimenti terroristici filo iraniani e filo siriani (e sudanesi e libici) ora. Abu Mazen e tanti arabi di Cisgiordania e del regno giordano hanno compreso che la stabilità e il riconoscimento reciproco dei due Stati israeliano e palestinese sono l’unica via per la pace e lo sviluppo economico che conseguirà.
 
Vi è certo anche il problema delle colonie ebraiche nei Territori palestinesi: per quanto ne so e per quel che ho visto quando ci sono stato, posso affermare che molte colonie sono ancora in piedi soltanto perchè i coloni che le abitano aspettano che lo Stato ebraico li indennizzi e dia loro una bella casa e un posto dove vivere altrove; molti integralisti ebraici certamente si opporranno alla smobilitazione, ma mi pare un processo ineluttabile e destinato nel breve-medio periodo a concludersi positivamente.
 
Quando si sostiene che la reazione attuale di Israele sia eccessiva non posso, ancora una volta, essere d’accordo: quale nazione accetterebbe che da uno stato confinante (la Striscia di Gaza) partissero durante otto anni circa dieci mila missili per colpire indistintamente case, negozi, strade, auto, persone civili e militari, bambini, famiglie riunite a cena; e di questi missili ben il 50% è stato lanciato negli ultimi due anni! Penso che persino l’Italia, questa nostra nazione pavida e vigliacca, fatta di tanti idealisti benpensanti e poco facenti, reagirebbe duramente e militarmente!
 
E mi si permetta di spendere qualche parola anche riguardo la contestualizzazione con le prossime elezioni in Israele: riguardo alla guerra scatenata dagli Israeliani contro Hamas tutti i partiti politici sono concordi; il governo sostenuto da Kadima e dai laburisti ne trarrà probabilmente vantaggio (specialmente i due principali candidati a primo ministro, Tzipi Livni e Ehud Barak), e lo spero vivamente per non ritrovare al governo un leader corrotto e spregiudicato come il capo della destra del Likhud, Benjamin Netanhyau. Ma la dinamica politica interna conta poco, a mio avviso, perchè, ribadisco, nessun governo di nessuno Stato potrebbe mai tollerare una situazione quale quella che Israele ha avuto sia al confine col Libano sia al confine con la Striscia.
 
Non sono d’accordo sul parallelismo dei due terrorismi, quello palestinese e quello israeliano, semplicemente perchè non esiste un termine di confronto: Israele è una nazione giovane, dinamica, modernissima e pragmatica. Agisce invece che stare a guardare. Se colpito, l’israeliano risponde. E lo fa con i mezzi a disposizione: è una sconfitta terribile per l’umanità quando Israele intraprende un’operazione di eliminazione di obiettivi "viventi" come per esempio i capi terroristi, ma ottiene lo scopo.
 
La sconfitta maggiore e più odiosamente cinica è quella dell’Italia, della Francia, del Regno Unito, della Germania, della Russia, degli USA che prima vendono armi o consentono la vendita di armi ai gruppi terroristici laddove a loro convenga geopoliticamente (da ricordare i regimi siriano e sudanese, oppure i Talebani anti-URSS in Afghanistan e Saddam Hussein anti-Iran in Iraq, o i regimi totalitari sudamericani anti-comunisti, o certi potentati personali in Africa, ecc.), poi si accorgono che gli stessi gruppi terroristici con cui hanno fatto affari non sono gestibili.
 
Tutto ciò detto, non resto indifferente al dramma delle popolazioni palestinesi che oggi sono vittima dei bombardamenti e degli attacchi israeliani: pur comprendendo l’iniziativa di Tel Aviv, resto convinto che Israele avrebbe fatto meglio ad attendere ancora (magari una bella strage kamikaze a Gerusalemme o a Beersheva) e cercare l’appoggio massiccio della comunità internazionale per scalzare Hamas dal potere a Gaza.. Ma, diciamocelo francamente, la cosiddetta comunità internazionale il più delle volte sta alla finestra e interviene solo a cose fatte. L’Onu è un pachiderma ormai inadeguato alle urgenze del mondo contemporaneo e, spesso, corrotto al più alto livello (Oil for food insegna).
 
Hamas nutre i cittadini palestinesi di odio, li lascia nella fame e nella mancanza di lavoro perchè ciò favorisce l’arruolamento di nuovi falangisti e di nuovi martiri del terrore. Bisogna invece favorire il lavoro, lo sviluppo, l’istruzione e così arrivare alla pace. Anche l’Egitto di Mubarak (non certo un campione di democrazia, ma sicuramente un bastione contro il fondamentalismo islamico e il terrorismo) ha capito che non può più permettere ad Hamas di prosperare a danno della stragrande maggioranza della pacifica popolazione palestinese e ha tagliato i rifornimenti e chiuso i tunnel che dal Sinai nordorientale permettevano ai terroristi di contrabbandare armi.
 
La fermezza contro ogni terrorismo e il sostegno per quegli uomini politici che cercano la pace e il dialogo sono la via che io ritengo più foriera di positivi risultati.

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