Israele non avrebbe ragione di esistere

par Fabio Della Pergola
venerdì 18 luglio 2014

Perché mancherebbe il legame "biologico" degli ebrei con quella terra.

Nota a margine: con tutto quello che succede in Israele e Palestina, un intellettuale algerino, Tahar Lamri, ha pensato bene di postare sulla sua pagina facebook un articolo in cui analizza i termini “semita e antisemita” (sorvolando sul fatto che il termine ha origine nella linguistica, non nella genetica e basta andare su Wikipedia, non è necessario affrontare studi complessi, per saperlo).

Poi ci dice, sono cose arcinote ma ognuno racconta quel che gli pare al suo pubblico, che il termine è stato inventato da un razzista tedesco che "decise di non fare distinzione fra religione, cultura e origine etnica degli ebrei e di fare, a prescindere dalla nazionalità, degli ebrei un popolo, semita appunto, cioè figli di Sem, figlio di Noé. Voleva stigmatizzare, ha creato un mito".

Fino a che quel tizio, tale Wilhelm Marr, non ha inventato la parola "antisemita", usandola per indicare l'antigiudaismo in termini razziali (cioè genetici) o etnici, il popolo ebraico (ohibò) non esisteva; e dopo che il termine è stato inventato finalmente quel popolo è esistito. Però come "mito".

C'è da chiedersi quindi chi mai veniva chiuso nei ghetti europei, chi veniva espulso dall'Inghilterra, dalla Francia e dalla penisola iberica nel corso dei secoli, chi mai veniva massacrato dai crociati in partenza per la Terra Santa e chi era sterminato dai cosacchi durante la loro rivolta contro i re polacchi. O chi, ancora, doveva portare sugli abiti un segno distintivo - che poi è diventata la famigerata stella gialla del novecento - inventato dal califfo "ben guidato" Omar e poi adottato dalla cristianità.

Saranno stati miti anche quelli.

Dopo un articolato quanto poco significativo blablabla, l'intellettuale algerino giunge alla sua sorprendente conclusione che “antisemitismo è essere contro i palestinesi”, perché i veri "semiti" sarebbero i palestinesi dal momento che il popolo ebraico semplicemente “non esiste” o, se esiste, non ha “nessun legame biologico o genealogico” (sic) con la Palestina.

Il riferimento di tutto ciò è, ovviamente, al testo dello storico israeliano Shlomo Sand, "L'invenzione del popolo ebraico", che avrebbe scoperto e dimostrato che gli ebrei non sono una "razza pura" e che gli ebrei di oggi non avrebbero niente a che vedere con gli ebrei dell'antichità, ma deriverebbero piuttosto da altre popolazioni convertite, come ad esempio i Kazhari.

D'altra parte già nel XIV secolo lo storico arabo Ibn Khaldun, raccontando l'epopea della travolgente armata dell'Islam nel nordafrica descrisse la caparbia resistenza della tribù berbera dei Gerawa, guidata dalla regina Dihya, che i musulmani chiamavano la Kahina, la strega; tribù che, udite udite, era di fede ebraica (ma gli arabi di oggi lo ricordano malvolentieri).

Quindi gli ebrei erano... chiunque ritenesse di esserlo. Cioè, più o meno, come chiunque altro ritenga di condividere con altri una cultura, una tradizione, una religione, una lingua: arabo, italiano, tedesco, palestinese o algerino che sia.

Personalmente guardando una foto della modella Bar Rafaeli e una della cantante Noa (le allego per chi 

 avesse voglia di verificare l'esistenza o meno della razza ebraica) entrambe israeliane ed ebree, qualche dubbio ce l'avevo già avuto anch'io, ben prima di leggere il libro di Sand: non esiste una pura razza ebraica, non è mai esistita. Quelle due sono della stessa "razza" come lo siamo io e un esquimese (se solo esistessero le razze, naturalmente).

Casomai è esistita ed esiste tuttora una tradizione culturale e religiosa che accomuna nei secoli - svirgolando un po' di qua e un po' di là a seconda delle varie interpretazioni, contaminazioni ed elucubrazioni di quel mistico o di quel filosofo, di quel rabbino o di quell'altro sapiente - un numero imprecisato di persone che, in questo e per questo, si sono sentiti e si sentono tuttora un "popolo". 

Che, perciò, esiste ed è esistito. E si chiama "popolo ebraico", non "razza ebraica" con buona pace dei razzisti di ogni colore e provenienza. Ma nemmeno "mito ebraico", con buona pace anche dei fantasiosi inventori di miti.

E' un popolo che condivide alcune idee, ma non tutte; che si divide su tante cose, ma non su tutto. Che condivide (in qualche misura) la musica, la cucina, la letteratura, il modo di pensare e quello di corteggiare una donna. Un certo modo di fare, uno di oziare, uno di ridere e anche uno di sopportare (e ce n'è voluta di sopportazione). E anche un certo modo di averne gli zibidei pieni di dover sopportare, scusate la franchezza.

Anche questo non diversamente da quello che succede ed è successo a qualsiasi altro popolo, a qualsiasi altra comunità piccola o grande, famosa o ignota, esistente o estinta.

Ma tant'è: quando parla un accademico come Shlomo Sand, che scrive cose così utili per un uso politico (e quindi artefatto) della storia, la cosa pare avere ben altro peso. Anche quando, tutto sommato, ha scoperto l'acqua calda.

Ma, nonostante “antisemita” significhi - senza alcun infingimento - "antiebraico" da almeno un secolo e mezzo, l’arguto intellettuale algerino spreca parole per convincerci che i semiti non sono gli ebrei, ma casomai i palestinesi.

E da qui la fantasiosa conclusione che chi ce l'ha con i palestinesi sarebbe un antisemita, cioè - inducendoci a tornare velocemente al significato insito nel termine - un razzista o un nazista.

Aria fritta, naturalmente; in quella terra c'è un conflitto quasi secolare (la prima strage risale al 1920 nella colonia di Tel Hai dove ad essere ammazzati furono una decina di ebrei di origine russa fuggiti dai pogrom zaristi) che è conflitto territoriale, non razziale.

Dire che i semiti "veri" sono i palestinesi è un'affermazione come un'altra, naturalmente, senza alcuna prova; come fai a dimostrare che il signor Mohammed discende da un tizio che abitava lì dal mille avanti Cristo e parlava una lingua semitica (quindi l'arabo o l'ebraico o magari l'accadico o l'aramaico o il fenicio, ma non l'hittita, ad esempio, che non lo era) ?

E che il signor Mordecai invece no, anche se magari poi un suo tris-tris-trisavolo se ne è andato un po' in giro per il mondo ? E come fai a dimostrare, essendo "semita" un termine della linguistica, che arabi ed ebrei non parlano entrambi una lingua del ceppo semitico quando tutti i linguisti lo affermano con assoluta certezza ?

Ma quella del fine intellettuale algerino è un'affermazione utile a sostenere una certa ideologia.

Il signor Lamri, a cui va il mio rispetto per tante altre cose che dice - un po' più intelligenti di questa - usando questa volta l'arguzia di definire semiti gli arabi, ma non gli ebrei, sostiene alla fine, implicitamente (ma piuttosto esplicitamente), che lo stato ebraico non deve esistere perché "non esiste nessun legame biologico o genealogico fra i cittadini ebrei di Israele e questa terra del Medio-Oriente che è la Palestina".

E mentre lui si guarda bene dal darci una qualsiasi prova di quello che sostiene, la sua intenzionalità appare quella, implicita (ma piuttosto esplicita), di negare agli ebrei il diritto di reclamare un qualche legame con quella terra contesa e martoriata dove ormai sono nati e cresciuti i figli di quegli ebrei che hanno salvato le chiappe dai pogrom russi o dai nazisti europei (che non erano solo tedeschi) e dai nazionalisti di tutti i paesi arabi da cui sono dovuti scappare a gambe levate dopo il 1948. Quindi il legame "genealogico" degli ebrei israeliani con quella terra c'è ormai, eccome: per la maggior parte ci sono nati.

Passano i decenni e ancora siamo a questo: Israele non ha il diritto di esistere per una ragione o l'altra; questa volta perché non c'è un legame "biologico" tra gli ebrei e quella terra (e che cosa sia poi un "legame biologico con una terra" da parte di un umano - non di un vegetale - resta un mistero insondabile).

Ma il fine intellettuale algerino si rassegni e con lui tanti altri. Qualsiasi cosa si pensi del conflitto decennale tra israeliani e palestinesi e con chiunque ci si schieri, il legame degli ebrei con quella terra è un legame di sangue e come tale potrebbe essere definito un legame "biologico", se proprio vogliamo usare questa metafora.

E' il legame sancito dalla sofferenza e dal sangue di cinque milioni di persone andate in fumo, del milione o quasi di profughi, superstiti e sopravvissuti alla violenza dell'Europa nazistificata e anche di quella liberata (mai sentito parlare dei pogrom antiebraici avvenuti in Polonia dopo la guerra ?). E pure dell'Unione sovietica staliniana e dei regimi comunisti a lei connessi. Dalla sofferenza delle decine di migliaia che sono rimasti fino al 1947, due anni dopo la fine della guerra, nei campi di raccolta inglesi perché nessuno sapeva dove mandarli a ricostruirsi una vita.

E poi anche delle centinaia di migliaia di persone che hanno dovuto abbandonare tutto quello che avevano per fuggire dai paesi arabi e andare a vivere in Israele. Che ha accolto i "suoi" profughi e ha riconosciuto loro dignità di persone, mentre la maggior parte dei paesi arabi hanno rinchiuso i profughi palestinesi nei campi dove vivono tuttora in condizioni deplorevoli.

Ed è anche, quello ebraico, un legame di diritto con quella terra, sancito dall'Assemblea Generale dell'ONU nel 1948, nonostante il rifiuto arabo che è, piaccia o non piaccia, la madre di tutte le tragedie successive.

Poi ci chiediamo perché quel conflitto non trovi mai una soluzione. Se questi sono gli intellettuali, figuriamoci il resto. 

 


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