Israele: governare sarà difficile

par Fabio Della Pergola
mercoledì 18 marzo 2015

Le elezioni in Israele sono simili per tanti versi a quelle che si succedevano per anni in Italia, prima dell’onda anomala di Berlusconi o di quella, speculare, di Matteo Renzi.

Vale a dire che le due sostanziose e contrapposte forze di centrodestra e di centrosinistra devono per forza di cose allearsi con piccoli, rissosi, arroganti partitini facenti parte delle due ale estreme e contrapposte (ma perlopiù di destra).

I risultati finali sembrano indicare (ma mancano ancora i voti dei militari) questa suddivisione dei seggi della Knesset, il parlamento di Gerusalemme:

Likud, centrodestra, 30 - Unione sionista, centrosinistra, 24 - Joint list, partiti arabi, 14 - Yesh Atid, centro laico, 11 - Kulanu, centro, 10 - Habayit Hayehudi, Shas, United Torah, Yisrael Beiteinu, nazionalisti e religiosi, complessivamente, 27 - Meretz, sinistra, 4.

Per quello che si può capire una possibile coalizione di centrodestra, appoggiata sui partiti dell’ultranazionalismo laico e religioso potrebbe contare su 67 seggi, contando anche il partito centrista Kulanu ("Tutti noi") il cui leader però vede Netanyahu come la sabbia negli occhi, tanto che se ne è uscito dal Likud per fondare un suo partito personale.

I seggi filogovernativi potrebbero quindi scendere a 57, escludendo Kulanu.

Sarebbe, inutile dirlo, una coalizione fortemente spostata a destra e messa letteralmente sotto scacco dai partitini dei coloni e degli ultraortodossi.

Un’eventuale coalizione di centrosinistra potrebbe contare su 39 seggi, comprendendo la sinistra radicale di Meretz, oppure su 45 seggi, includendo il centrista Kulanu (ma escludendo in questo caso Meretz, in costante e progressivo calo) che sarebbe perciò un'incognita di centrodestra in un ambito più spostato verso sinistra. Ma non sarebbe comunque una novità dato che Tsipi Livni, uno dei due componenti di Unione sionista, ha anche lei un passato nel Likud, prima di aderire alla lista Kadima lanciata da Sharon poco prima della sua malattia fatale.

L’ipotesi di 57 a 45 sembrerebbe indicare vita (quasi) facile per Bibi Netanyahu alla sua ennesima esperienza di governo.

Sembrerebbe. Perché in realtà si troverebbe con un parlamento in cui ai 57 voti della coalizione di governo potrebbero opposi i 45 del centro-centrosinistra rinforzati dai 14 della lista araba unita e dai 4 di Meretz. Uno schieramento di opposizione che può contare sulla bellezza di 63 voti. Sarebbe più forte l’opposizione del governo.

Ma un’opposizione che non sarebbe comunque in grado di varare un governo per l’inconciliabilità (almeno sulla carta) tra centristi e sinistra e tra sionisti e arabi (ivi compreso il problema che la lista dei partiti arabi contiene comunisti, nazionalisti e islamisti tutti insieme appassionatamente; comunque una bella performance democratica in un paese accusato da sempre di razzismo).

Resta l’opzione Kulanu; che potrebbe portare i suoi 10 voti nell’area di governo (che salirebbe così a 67) sottraendoli a quella dell’opposizione (che scenderebbe a 53).

Come accadeva in Italia con Craxi (ma anche con Bertinotti o con Bossi) un partitino minore, per quanto dalla consistenza non trascurabile di 10 parlamentari in un parlamento con 120 seggi in tutto, avrebbe in mano il destino non solo di un governo, ma, in questo caso, anche delle prospettive sempre più labili della trattativa con i palestinesi e quelle della collocazione internazionale dello stato ebraico.

Se il governo di centrodestra reggerà all’urto delle sue contraddizioni interne potrebbe trovarsi in difficoltà con il suo più importante alleato, governato ancora per un paio di anni da un Barack Obama decisamente ostile a Netanyahu e fortemente impegnato a ricucire i rapporti con l’Iran in prospettiva anti-ISIS; e, quindi, necessariamente portato a concedere qualcosa alla repubblica islamica sul piano della trattativa sul nucleare.

Ma Netanyahu potrebbe trovarsi fra due anni con un presidente repubblicano installato comodamente nello Studio Ovale, con le spalle coperte da un congresso solidale, e capace di imporre una svolta molto muscolosa, ergo pericolosa, a tutta la gestione delle crisi mediorientali.

Se Kulanu invece resterà ostile al governo, magari dietro interessati suggerimenti d’oltreoceano, la prospettiva oltranzista di Netanyahu si incaglierà sulle secche di una sostanziale impossibilità di guidare la politica israeliana.

Unica prospettiva seria: una Grosse Koalition in salsa mediorientale che spunti un po’ le unghie agli oltranzisti, ma che, soprattutto, sia capace di varare una nuova legge elettorale.

Foto: Ron Almong/flickr

 


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