Israele-Iran: le parole ed i fatti

par Fabio Della Pergola
lunedì 27 agosto 2012

Fra le mille accuse con cui Israele viene condannato per un attacco all’Iran che però - è opportuno ricordarselo ogni tanto - non è ancora avvenuto, saltuariamente si legge anche qualcosa di sensato.

Ad esempio, oggi suonano sensate proprio le parole del Ministro degli Esteri iraniano, riportate dall’Ansa, che afferma “Israele non è nella condizione di poter attaccare, se davvero volesse compiere un tale passo non farebbe tanto baccano sui media”.

Per quanto le minacce israeliane non siano da sottovalutare - siamo in vista delle elezioni americane, quando il governo Netanyahu potrebbe voler mettere i candidati in corsa per le presidenziali nella scomoda situazione di dover appoggiare Israele nell’attacco o rischiare seriamente di perdere le elezioni - il ministro di Teheran mette in evidenza che la tattica dello stato ebraico è sempre stata quella di colpire con estrema determinazione quando i suoi nemici meno se lo aspettavano. Cioè quando la soglia di attenzione era molto bassa.

Non è un espediente particolarmente sofisticato né esclusiva israeliana; è, al contrario, quello che ognuno farebbe se volesse cogliere impreparato il suo avversario. Sta di fatto che la propaganda lavora sul “baccano”, le armi invece preferiscono operare nel silenzio. Fu così all’inizio della guerra dei Sei giorni (1967) quando l'aviazione israeliana distrusse a terra quella egiziana mentre Nasser era ancora impegnato nel posizionamento del suo esercito nel Sinai, fu così ad Entebbe, quando un silenzioso commando guidato dal fratello di Netanyahu, che rimase ucciso nell’azione, liberò gli ostaggi di un aereo civile catturati da uomini della resistenza palestinese. O, ancora, in occasione del bombardamento del sito nucleare iracheno o di quello in costruzione in Siria. Nemmeno mezza parola di avvertimento in questi casi; ed è ovvio che ciò sia avvenuto nel più completo silenzio.

Ma è stato così anche quando è stato il campo avverso ad Israele ad agire, come nell’inaspettato attacco arabo che diede inizio alla guerra del Kippur (1973) capace di mettere in seria difficoltà lo stato ebraico o quando una pattuglia israeliana fu colpita da un’improvvisa incursione di Hezbollah sul confine libanese, che diede il via al duro e sanguinoso conflitto del 2006 (che, fra l'altro, ha causato la morte politica della sinistra pacifista israeliana).

Il “gran baccano” attorno alle minacce israeliane (ma anche quello che riguarda i proclami degli ayatollah) potrebbe essere quindi solo il chiasso della propaganda - il classico can che abbaia e che non morde - a cui noi tutti partecipiamo, volenti o nolenti, con gran passione pressoché quotidiana, mentre le partite “vere” si giocano nella penombra delle felpate stanze del potere. Che oggi sembra più concentrato su Siria e Libano o sul confine turco dove i curdi del PKK sembrano rilanciare giochi che non sono mai stati del tutto chiusi.

Non si può dire con assoluta certezza se il “baccano” va interpretato come intende il ministro iraniano. Sembra plausibile che se Israele volesse davvero colpire non farebbe tanto rumore sui media, ma la conclusione a cui arriva l’alto esponente di Teheran è che “Israele non è nella condizione di poter attaccare”.

‘Condizione’ è un termine che sembra chiaro, ma che in realtà è ambiguo. Può voler dire che l’aviazione con la Stella di David non è in grado di portare l’attacco oppure che il governo non è libero di agire come vorrebbe. O, ancora, che il timore di una rappresaglia decisamente importante rende l’operazione militare un rischio eccessivo, rifiutato dai cittadini (il che, in una democrazia parlamentare ha la sua importanza).

Chi è ‘non è in condizione’ allora? Le forze armate, la politica o l’opinione pubblica ?

Nonostante le ripetute e plateali dichiarazioni moderate espresse dalle alte sfere delle IDF (Israel Defense Forces) e da quelle delle varie branche dell'intelligence, non sono certo da sottovalure le capacità operative delle armi israeliane, da tempo esercitate ad attaccare obiettivi ritenuti impraticabili. Ancor meno da sottovalutare la caparbietà di un governo ostinato ai limiti dell'ottusità e politicamente ancora molto forte.

Resta un’opinione pubblica che, a dispetto della propaganda internazionale, sembra essere tuttora restìa ad attaccare un paese che ufficialmente è solo un avversario politico nel panorama internazionale, anche se, proprio per l’appoggio dato ad Hezbollah nel 2006, è da tempo vissuto come un vero e proprio nemico dichiarato.

Le manifestazioni contro l'attacco sono patrimonio di una piccola minoranza politicamente attiva, e sono azioni decisamente di nicchia le romantiche esternazioni di amore reciproco postate sul web, ma i sondaggi non parlano certo di una popolazione favorevole al conflitto. Tutt'altro, come ci ricorda anche un pacifista convinto come Uri Avnery sulle pagine del Manifesto (http://www.ilmanifesto.it/attualita...).

Su questa ambiguità si gioca tutto: sul precario equilibrio tra il forte timore per un sempre paventato olocausto prossimo venturo - la vera ferita psichica mai del tutto rimarginata nella mente di ogni ebreo, credente o laico che sia - e la profonda avversità per un avventurismo foriero di gravi e oscuri pericoli immediati.

Non sulle presunte incapacità militari né su improbabili tentennamenti politici, ma sulle reali tendenze di un’opinione pubblica che può facilmente essere manipolata. Dalle forze politiche e culturali interne, ma anche dall’esterno. Basta un attentato più grave o, al contrario, un periodo anche breve di inaspettata "tranquillità" per spostare i pubblici impulsi da un livello bellicoso ad uno pacifico e viceversa, nell'arco di un niente.

I giochi quindi non sono ancora fatti, né nel senso paventato dagli accusatori “sempre e comunque” di Israele, né nella direzione data dalle frasi del Ministro iraniano, tranquillizzanti e supponenti allo stesso tempo.

E’ ancora il tempo delle parole - del "baccano" - per fortuna. Poi, fra non molto - manca ormai davvero poco alla "finestra ideale" per un attacco - vedremo quali saranno i fatti; la cosa più probabile è che se Israele attaccherà, l'Iran - dopo un conflitto dall'esito tutt'altro che scontato - si sentirà del tutto autorizzato (e lo sarà) a dotarsi di armi atomiche. Se lo stato ebraico invece non agirà, gli ayatollah - qualunque siano le loro reali intenzioni attuali - si sentiranno molto, molto tentati di farlo, ormai convinti di aver messo nel sacco l'avversario.

Il futuro quindi, comunque vada nei prossimi mesi, potrebbe presentarsi davvero con due potenze nucleari a fronteggiarsi in medio oriente. Paradossalmente non è detto che sia una situazione più pericolosa di quanto lo sia adesso. Ma non vorrei essere nei panni né di un israeliano né di un iraniano nei prossimi anni.

 


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