Isis controlla la più grande raffineria in Iraq. Lo scontro Iran - Arabia Saudita sullo sfondo
par francesco latteri
giovedì 19 giugno 2014
Ancora si combatte ma il controllo della raffineria di Baiji è ormai nelle mani dell'Isis, mentre l'Iraq implora l'intervento aereo degli Usa. Exxon Mobile, BP e Siemens hanno evacuato i propri addetti nei territori occupati dall'Isis.
Invero la situazione - che resta assai complessa ed intricata - inizia ad assumere connotazioni decifrabili anche agli osservatori esterni al mondo arabo: il Presidente iraniano Rohani infatti ha iniziato la mobilitazione di miliziani ed è intervenuto con una dichiarazione pubblica di eventuale difesa armata dei luoghi sacri dell'Islam sciita, segnatamente Kerbala, Nadschaf, Kadhimija e Samarra - luoghi di culto sciiti sin dall'epoca medioevale - che "non saranno lasciati nelle mani di assassini e terroristi"; di contro ha fatto eco subito il principe Faisal che ha messo in guardia contro interventi esterni in Iraq e sostenuto l'unità nazionale dello stesso.
Confronto dunque tra le due grandi potenze arabe della regione, ma complicato dalle connotazioni religiose invocate, ovvero dal confronto tra sciiti e sunniti. Complicato anche dalle implicazioni della storia recente dell'Iraq, sono infatti passati all'Isis gli ex sostenitori di Saddam Hussein, nonché dalla guerra civile siriana di cui hanno profittato anche i curdi. L'obiettivo immediato, del resto già parzialmente realizzato, è la creazione di uno Stato transnazionale sunnita, la quale però di fatto altererebbe gli equilibri di potere tra Iran ed Arabia Saudita pesantemente a favore di quest'ultima sia per il controllo del petrolio sia, di riflesso per quello religioso. Ma il controllo delle fonti energetiche in mano agli jihadisti è cosa che riguarda direttamente sia gli americani che noi europei, come ha prontamente sostenuto il Primo Ministro inglese David Cameron, dichiaratamente a favore di un intervento militare anche con partecipazione inglese.
In proposito è però da osservare che questo di fatto invertirebbe la posizione degli Usa, Washington invero colpirebbe con il suo intervento gli interessi sauditi - sinora suoi maggiori alleati - a favore di quelli dell'Iran con cui è in contrasto dai tempi di Khomeini, e questo spiega anche i tentennamenti di Obama.
D'altronde le possibilità pratiche di un intervento restano poche e controverse: attacchi missilistici ed aerei al di là dell'abbattimento di qualche obiettivo non riuscirebbero a debellare l'Isis assai ben radicata sul territorio, come anche l'invio di tecnici ed armi al governo iracheno; un intervento diretto invece implicherebbe un coinvolgimento in forze degli stessi Usa, e dovrebbe inoltre essere posto in atto proprio dal Presidente, che sino ad oggi si è sempre vantato di essere il Presidente che ha riportato i soldati americani a casa...