Non immaginavo che visitare la mostra di Escher, in esposizione nelle sale del Chiostro del Bramante a Roma, avrebbe richiesto ore di fila, con il timore di non riuscirsi a “gustare” le oltre 130 opere arrivate per omaggiare quello che io ritengo essere uno dei più grandi grafici ed incisori del XXI secolo.
Con tanta pazienza e un bel mal di piedi, alla fine, sono riuscita ad entrare: dire che ne sia valsa la pena è assolutamente scontato. La mia intenzione di scrivere questo articolo non nasce dall'esigenza di parlare di Escher nel modo più tradizionale, ma dall'interesse che hanno suscitato in me alcune delle sue celebri incisioni come “RELATIVITY” del 1953 o “PLANETOIDE TETRAEDRICO” del 1954. Soprattutto nel primo caso ho rinvenuto nella mia memoria un immagine analoga, fortemente simile, che mi ha portato a riflettere su un possibile legame fra alcuni lavori di Escher e le “Carceri d'invenzione” di Giovan Battista Piranesi, incisore italiano del XVIII secolo.
La mostra di Maurits Cornelis Escher è la testimonianza tangibile dello sguardo dell'artista olandese, che ha preso le mosse dall'osservazione della natura e dal contesto socio- culturale e scientifico di inizio '900. L'arte di Escher è un'estensione del Surrealismo, dell'illogico che regna sul logico, lo sovrasta e lo sostituisce nel gioco dell'irrazionalità: si viene a sviluppare un'arte basata sulla Gestalt, sulla percezione, che viene filtrata e riproposta in chiave logico-matematica. L'artista diviene uno di quelli che si appropriano della scienza e delle sue terminazioni e ne trasferiscono i concetti nelle proprie produzioni, includendo, chiaramente, anche una componente emotiva, ovvero la personale visione delle cose.
Se contestualizziamo storicamente la figura di Escher, ci troviamo nel primo quarto del XX secolo e la storia ci insegna che fu un periodo estremamente dinamico: ancora si sentono forti gli ultimi echi della rivoluzione industriale, l'uomo sta prendendo possesso delle proprie capacità, uomini brillanti iniziano a regalare all'umanità manufatti che, di fatto, segneranno l'arrivo della modernità, l'avvento di una tecnologia che non smette di migliorarsi e una conoscenza che regala al mondo nuovi e sorprendenti studi, soprattutto in ambito scientifico.
È d'inizio secolo, infatti, l'elaborazione dei primi postulati di quella che verrà conosciuta come fisica quantistica, che porrà l'attenzione sul comportamento della materia e le conseguenti reazioni: fin da subito quest'ultima si presenta come fortemente intuitiva e dimostra la presenza di un “caos deterministico”; se fino a quel momento la fisica si era basata su regole deterministiche (modello di partenza e conseguente funzionamento), nel caos deterministico si hanno delle leggi determinate, ma filtrate ed alterate dalla presenza di troppi elementi (particelle) in gioco i cui risultati non sono più così definiti, ma sfuggono al controllo.
Queste scoperte aprirono nuovi orizzonti per quanto riguardava lo studio della materia ed allo stesso tempo l'uomo inizia ad avere più consapevolezza di quello che ha intorno. Escher vive a pieno questo importante momento storico e ne assorbisce gli aspetti fondamentali; non è un caso se questo incisore è molto amato da matematici e fisici che vedono nell'illogicità delle sue litografie e nell'uso dei poliedri una ricerca che crei un ponte fra razionale e irrazionale. Così come la fisica delle particelle arriva a proporre cose, apparentemente senza un senso, così la geometria disegnata di Escher si muove verso la rappresentazione dell'infinito e del paradosso. È da questa visione che prendono forma stampe di grande suggestione come “CONVESSO E CONCAVO”( 1955), “GALLERIA DI STAMPE”(1956), “SU E GIU'” (1947) e “BOND OF UNION” (1956). Ma è una in particolare, “RELATIVITY” del 1953 a richiamare l'influenza di un grande arista che Escher ha sicuramente avuto modo di studiare: Giovan Battista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720- Roma, 1778)
Piranesi fu un incisore famoso per aver rappresentato le rovine di Roma, in un periodo che, in seguito alle numerose scoperte archeologiche e ai Grand Tour dei signorotti europei, vedeva nelle immagini dell'Urbe antica il soggetto ideale. I suoi lavori, a differenza di altri, mostravano un'intonazione drammatica che restituiva l'idea della dignità e magnificenza dell'Urbe. Ma è tra il 1745 ed il 1750 che Piranesi si diletta in una serie di incisioni che prendono il nome di “CARCERI D'INVENZIONE”. Scrive Marguerite Yourcenar, scrittrice belga "(...) una delle opere più belle che ci abbia lasciato in eredità un uomo del XVIII secolo". Per molti, le “Carceri” rappresentano la negazione del tempo, un pizzico di follia stampato sulla carta, l'ebbrezza dell'impossibile unito ad un segno di claustrofobia; è una sfida alle leggi prospettiche e alla costruzione dello spazio: si crea un senso di vertigine che vive in ogni angolo e si avvicina ad illusioni ottiche sempre più grandi. Si ha la sensazione che lo spazio rappresentato non abbia né inizio e né fine, non esiste un punto di vista privilegiato, le figure sono ovunque cosi come scale, travi, iscrizioni, oggetti di tortura che rendono impossibile inquadrare mentalmente quello spazio ed acquisiscono la peculiarità dell'incubo.
Ora, se si confrontano le “Carceri” con “Relativity” di Escher, non può non saltare all'occhio la grande somiglianza che le accomuna, entrambe basate sull'inganno prospettico, sul trombe d'oeil che fa spaziare l'occhio senza un riferimento specifico da cui partire; è chiaro che Escher ha avuto modo di entrare in contatto con le incisioni di Piranesi, ma quando? Una conferma della conoscenza delle opere di Piranesi è data dalla testimonianza riportata nella biografia redatta da Wim Hazeu, che racconta di aver visto opere dell'artista veneto nella casa svizzera di Escher; l'incisore olandese ha vissuto a Roma per anni, tra il 1923 ed il 1935, e sicuramente ha avuto modo di osservare da vicino, e non solo, alcuni dei lavori dell'incisore veneto. È del 1923, infatti, anno di arrivo di Escher in Italia, la monografia fotografica dedicata a Piranesi da Federico Hermanin. È chiaro che Escher ha avuto molti modi per entrare in contatto con la produzione di Piranesi, di approfondirla e trovare delle consonanze stilistiche a cui ispirarsi.
Escher con Relatività evoca le Carceri del Piranesi, ma più per differenze che per consonanze. Avanza un dubbio conoscitivo, se non epistemologico, ponendo in stato d’assedio le nostre certezze quotidiane, mentre Piranesi ci invita a rivisitare un archetipo, evocando un dubbio ontologico che riguarda la conoscenza di noi stessi. Gli universi paralleli di Escher sprofondano in Piranesi nel mondo delle tenebre. Escher mette in crisi la realtà, Piranesi ci invita a un viaggio negli inferi, dove la realtà viene vista dal di sotto. Osservando questi lavori veniamo sopraffatti da un profondo senso di vertigine , ove architetture fantastiche e scenografie cerebrali moltiplicano i punti di osservazione. Escher, dunque, abolisce l'unicità dello spazio come partenza della sua poetica; a differenza del senso di soffocamento e angoscia prodotto dalle “Carceri”, i giochi illusionistici di Escher creano nell'osservatore un disorientamento spaziale, dove ripide prospettive di gradini, corridoi che si intersecano fra loro, in un risultato molto simile a quello di Piranesi, regalano allo spettatore la magia dell'illusione, la consapevolezza di poter manipolare geometricamente ed illusoriamente lo spazio.