Io sto con Roberto Saviano

par Articolo 21
lunedì 23 marzo 2009

di Loris Mazzetti.


Ci sono diversi modi per uccidere Roberto Saviano. Il primo, quello più semplice, più vigliacco, è portagli via la reputazione. La scritta anonima su di una panchina di Castel Volturno Saviano merda è la sintesi di un pensiero malvagio fatto non solo dai camorristi ma anche da chi invidia il suo successo. Quanti sono quelli tra di noi che non gli perdonano la fama raggiunta? Per comprendere il lavoro di Saviano bisogna partire da un inciso: Roberto è un grande scrittore. La sua parola ha una forza enorme, più di un colpo di lupara, si insinua, entra dentro il cervello, fa pensare, fa capire, poi può essere diffusa e creare consenso. Questo non può essere una sua colpa, come il fatto di saper comunicatore di affascinare chi lo ascolta. Il suo linguaggio è semplicemente vero e le persone lo capiscono, i giovani che lo ascoltano imparano ad alzare la testa, a vedere il mafioso in modo diverso, trovano la forza per guardarlo negli occhi.

Nel settembre scorso a Mantova, al Festival della Letteratura, Saviano ha esordito dicendo: “Il lettore ha messo paura ai poteri raccontati”, poi ha aggiunto, “è il lettore che ha deciso che l’editore, che il giornale, la tv, i preti, devono occuparsi di queste cose, i fatti di camorra non sono marginali, non sono cose che accadono, che ci sono sempre state”.

Da quando il suo libro Gomorra ha cominciato a passare di mano in mano si è accesso un potentissimo fascio di luce su mafiosi, camorristi, boss della ‘ndrangheta, della sacra corona unita. I fatti si sono illuminati come non accadeva dal maxiprocesso contro la mafia, quello dei giudici Falcone e Borsellino.
Roberto ha dato dignità al lavoro di tanti bravi cronisti che da anni scrivono di camorra e che prima erano costantemente relegati nelle cronache locali e che oggi hanno l’accesso alla prima pagina.

Saviano non solo ha raccontato fatti realmente accaduti e che in tanti avevano già riportato nelle pagine dei giornali locali, con Gomorra lui ha fatto conoscere, in Italia e all’estero, la mentalità dei camorristi e come esercitano il loro fascino sui giovani. La sua capacità di usare la parola, facendola diventare un’arma in grado di combattere la criminalità organizzata, è straordinaria, non esiste in nessun altro scrittore o giornalista. Per questo Saviano è diventato ingombrante, molto ingombrate, anzi troppo. L’attenzione dei media è solo su di lui. Sicuramente il successo gli ha portato benessere ma cosa gli ha tolto? La libertà di vivere.
Come si può uccidere Saviano senza usare il tritolo? Semplice. Togliendogli la parola. Distruggendo la sua credibilità. Interrompendo il rapporto con il lettore.
I boss Bidognetti e Iovine tentarono di farlo durante il processo Spartacus con un loro scritto presentato dall’avvocato in tribunale: l’autore di Gomorra veniva descritto come un mitomane, un pazzo, uno che inventa, uno che copia cose che sanno tutti.


In tv vanno in onda le immagini dei muri di Casal di Principe con le scritte Saviano drogato accompagnate da parole inequivocabili: “Chi dice che esiste la camorra? Lo dice l’uomo di merda…”. Sul Foglio di Giuliano Ferrara, in un articolo dal titolo fuorviante Forza Saviano, c’è scritto che lui ha fatto un bel romanzo ma tutto inventato. Negli ultimi due anni sono stati diversi i tentativi di portargli via la reputazione, l’ultimo è avvenuto in questi giorni. Il Giornale diretto da Mario Giordano ha sbattuto Roberto Saviano in prima pagina con una storia vecchia scritta e riscritta da più di un anno. Il giornalista Simone Di Meo (ufficio stampa del senatore Sergio Di Gregorio, che nella passata legislatura era presidente della Commissione della Difesa del Senato, eletto nell’Idv di Di Pietro poi passato al centro-destra, “indagato per reato di riciclaggio con l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa” - Giovanni Bianconi sul Corriere della sera del 6 giugno 2007 - indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria per “concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato al riciclaggio” - Repubblica 9 aprile 2008 -) ha querelato Saviano per plagio. De Meo lo accusa di avergli copiato quello che è cronaca, quello che in tanti hanno scritto, quello che è riportato negli atti della magistratura, insomma quello che fa parte della pubblica informazione. Nell’intervista al Giornale Simone De Meo dichiara: “Se colleghi e avvocati napoletani sfottono chiamandomi il Saviano dei poveri ci sarà un perché”. Una differenza tra i due c’è ed è lampante: nonostante tutto quello che ha scritto De Meo chi vive con la scorta, chi è stato minacciato dai camorristi, chi rischia la vita è Saviano e non lui. Se “il Saviano dei poveri” può girare per strada, può frequentare la sua ragazza liberamente, se i suoi genitori vivono ancora dove hanno sempre vissuto (di cui sono felicissimo, non voglio fraintendimenti, sulla vita non si scherza), un motivo ci sarà pure. 

Forse per capire meglio certi fatti e il perché di certi attacchi bisogna entrare nella storia della proprietà di due giornali: Cronache di Napoli e Il Corriere di Caserta. A questo proposito sono molto eloquenti le parole dell’ex direttore del Corriere Gianluigi Guarino: “…un giornale carsico, omissivo che spesso ignora le notizie perché non deve dare fastidio a nessuno; tutto ruota attorno alle esigenze processuali dell’editore”. Simone De Meo lavorava per Cronache di Napoli.
Quindici anni fa venne ucciso un eroe con la tonaca: don Peppino Diana, perché non taceva, parla in libertà ai parrocchiani, ai giovani, usava anche lui la parola e aveva il coraggio di denunciare: “La camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana”. Dopo la sua morte tentarono di infangarne la memoria. Il Corriere di Caserta scrisse Don Diana era un camorrista e qualche giorno dopo Don Diana a letto con due donne. In quei giorni furono in pochi a difendere l’onore del prete.

La camorra ha i suoi giornali, lo ha raccontato bene Saviano a Mantova.
Quello che sta accadendo a Roberto ha un unico obiettivo: togliergli la parola. Lo scrittore è scomodo perché quotidianamente è sui giornali, in televisione, incontra studenti nelle università, parla nelle piazze, racconta quello che i camorristi vorrebbero che rimanesse nel silenzio, lo fa con nomi e cognomi, svela i segreti della loro vita, e soprattutto rivela le loro strategie. Saviano ha rotto quel silenzio. Saviano sta lottando contro quelle persone che “vorrebbero controllare la loro storia”.

Le parole di Salman Rushdie pronunciate a Stoccolma lo scorso novembre, quando con Saviano intervenne davanti all’Accademia dei nobel dovrebbero introdurre tutti i libri scolastici: “In una società controllata la prima cosa che perdiamo è la libertà di narrare. Chiunque crede di controllare la società innanzitutto controlla la narrazione della società attraverso il tentativo di gestire la critica e la storia. Tutto ciò va oltre alla libertà dello scrittore di scrivere e del lettore di leggere, è una questione più esistenziale, e il reato contro questa libertà è un crimine contro l’umanità”.

Per questo dobbiamo stare con Roberto Saviano, per difendere anche la nostra libertà e l’azione dei tanti De Meo ci deve fare gioire perché significa che in questa società c’è ancora qualcuno che teme la parola.

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