Io sto con Famiglia Cristiana

par Fabio Chiusi
mercoledì 4 agosto 2010

L’editoriale di Famiglia Cristiana in edicola giovedì fa già perdere le staffe ai “probi viri” del Popolo della Libertà: “un atto di arroganza che la mette fuori dalla dottrina sociale della Chiesa”, accusa il titolare del Verbo e ministro Gianfranco Rotondi, perché un cristiano – prosegue – non usa la parola “servitore” né con gli ultimi né coi primi. L’atto di un “servitore di disegni politici altrui”, rincara il sottosegretario – anch’egli fuori dalla dottrina sociale della Chiesa, evidentemente – Carlo Giovanardi, reduce dalle parole di apprezzamento per l’assenza del Governo alla commemorazione della strage di Bologna (del resto perché lo Stato dovrebbe mischiarsi a una piazza che “ha espresso odio e livore”? Quelle sono piazze di nessuno, e lì la memoria e il dolore non arrivano). Il ministro Bondi, poi, stupisce al pensiero della mancanza di spirito critico del settimanale – una virtù che invece a lui di certo non manca. E che ama esercitare quando certi quotidiani dimenticano certe cose, e lasciare a riposo quando altri organi di informazione, magari il principale telegiornale del servizio pubblico, dimenticano certe altre cose. Sarà un mistero della Fede.

Ma che avrà mai detto quell’editoriale? In sostanza si parla del PDL come di un partito di “semplici esecutori dei voleri del capo”, in cui “non si ammettono repliche al pensiero unico. E guai a sfidare il “dominus” assoluto”. Il tutto mentre si ribadisce l’urgenza di affrontare una questione morale che tutto il Paese testimonia, senza nascondere il dito dietro uno “sbandierato garantismo, soprattutto a favore dei potenti”, che “è troppo spesso pretesa di impunità totale”. Certo, l’accusa al partito è forte, soprattutto quando si afferma che al suo interno dominerebbe “Una concezione padronale dello Stato” che “ha ridotto ministri e politici in “servitori””, ma siamo proprio sicuri che almeno parte del ragionamento non regga? Che non serva un ritorno alla “vera politica”, un richiamo forte alla legalità e – perché no – ricordare che le democrazie compiute non si fondano unicamente sul consenso elettorale? E ancora: siamo proprio sicuri che i primi a mettersi nei panni dei “semplici esecutori dei voleri del capo” non siano gli stessi che alzano la voce sdegnati?

Forse basterebbe il culto del “ghe pensi mi” a rispondere, o la rilettura “sovietica” dell’idea di dialogo con le minoranze degli ultimi tempi, in cui sul banco degli imputati finisce paradossalmente non chi è indagato ma chi chiede legalità. Prima di andare “fuori dalle palle”, ovvio (la finezza è di Iva Zanicchi). Tuttavia a volte essere sbrigativi non rende. Andiamo dunque a recuperare quanto affermato soltanto un paio di settimane fa da due membri di spicco del partito. Il 17 luglio il ministro Brambilla dichiarava al Corriere della Sera: “Il nostro è un partito che si basa sul rapporto tra il leader carismatico e il suo popolo. È un modello vincente ed è ciò che Berlusconi vuole che sia. Il premier, quando decide di parlare al suo popolo, con quel “care amiche e cari amici” salta tutti e si rivolge direttamente agli italiani utilizzando noi come suoi megafoni”. Vero, non si parla di “servitori” ma di “promotori della libertà” (sic). Eppure l’idea che dei militanti debbano essere un “megafono”, diretta emanazione del volere del “leader carismatico” e non individui dotati di una propria complessità, non sembra essere molto distante.

Eppure due giorni prima, allo stesso quotidiano, il coordinatore Denis Verdini ci è andato anche più vicino: il PDL è “un partito che crea un rapporto diretto tra il leader, Silvio Berlusconi, e gli elettori. Il PDL dovrebbe essere lo strumento di collegamento, a sostegno del leader”. Certo, “c’è chi vede le cose in maniera diversa”, ma “dal 1994 ad oggi – ma come, allora il PDL e Forza Italia erano la stessa cosa? – tutti quelli che non hanno avuto questa idea del partito ne sono finiti ai margini”. Ergo: chi dissente è fuori. Chissà, magari con tanto di “trattamento-Boffo”. Parole profetiche, alla luce dell’epurazione (il Manifesto l’ha chiamata brillantemente “Purga della Libertà”) dell’ultimo ufficio di presidenza. “Obbedienza assoluta?”, chiede l’intervistatore. Verdini risponde: “Metterla così è riduttivo” (sic), anche se l’importante è che “passa tutto attraverso il Presidente, negarlo è stupido”.

Ecco, appunto.


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