Ingroia, Monti, Grillo: le tre novità, precocemente invecchiate, di questa tornata elettorale

par enzo sanna
mercoledì 23 gennaio 2013

La caduta del governo Monti sembrava preludere a una campagna elettorale molto diversa da quelle subite dall’elettore negli ultimi vent’anni e oltre. Si paventava un PDL senza Berlusconi, impegnato addirittura nell’organizzazione delle primarie, sulla scia del successo di quelle svolte dal PD; un centro frastagliato e incerto, con troppe teste a dirigere mini-partiti uniti dalla sola necessità di superare i “quorum”; infine un PD forte di consensi, ma nella indecisione da peccato originale di non sapersi ancora considerare partito di centro-sinistra o di sinistra-centro. Tutto sommato, dunque, solo tre schieramenti tra i quali scegliere, con le immancabili meteore a gironzolare intorno, in attesa di essere catturate dalla forza di gravità di qualcuno, così da assicurarsi le briciole sotto le poltrone. Non rientrava neppure tra i riservisti la Lega Nord, frastornata da scandali su scandali tanto da meritarsi l’epiteto di “Lega ladrona”, quasi una rivincita da parte di quella “Roma ladrona” sul cui slogan aveva costruito in passato le proprie fortune elettorali.

Invece, non trascorrono due mesi che l’elettore si ritrova punto e a capo. Nel PDL torna Berlusconi, fa prostrare i suoi, annulla le primarie, riprende le redini del partito e, a riprova dell’invecchiamento cerebrale, tenta di cavalcare addirittura una sorta di purificazione delle liste, costringendo alcuni impresentabili (solo alcuni, s’intende) a rinunciare alla candidatura. Viene ovvio chiedersi: ma lui si è guardato allo specchio? Sarebbe come riempire una bottiglia con vino non adulterato tappandola con un tappo di sughero già marcio. Il contenuto della bottiglia andrebbe a male comunque. Sta di fatto che il Berlusca riesce perfino a recuperare unità d’intenti con quella centrale di corruzione rappresentata dalla Lega Nord, col convinto intervento dell’attuale segretario Maroni, alla faccia del ruolo di moralizzatore che tentava di incollarsi addosso. Il PD, dal canto suo, beandosi dei sondaggi, evita di far chiasso per non disturbare il sonno sereno del segretario Bersani il quale, da buon stagionato burocrate di partito, forse non ha ben chiara la data delle elezioni, oltre a tante altre cose.

Nel ritorno al vecchio sembrano emergere, però, tre apparenti novità. La prima riguarda la discesa, anzi, la salita in campo del “giovane” Monti. Costui, spinto da forze della destra europea e non solo, preoccupate dal redivivo impresentabile Berlusconi, viene costretto a prestare il proprio nome al fine di catalizzare le forze centriste. In un primo momento Casini gli promette anima e corpo, dandogli carta bianca, salvo poi sparargli in faccia che le liste dell’UDC le deciderà lui, Casini, e non Monti! Tutto torna come prima: Monti, il nuovo, si ritrova vecchio di botto, raccattando un po’ a destra un po’ a manca qualche transfugo di dubbie capacità tanto per dare a bere che presenta anche proprie liste. Ma non basta. Nonostante i suoi misurati sproloqui nei vari salotti televisivi nei quali tenta ancora di apparire un grande statista, deve incassare le prime stroncature eccellenti a livello internazionale. Il Financial Times lo definisce “l’uomo non giusto per guidare l’Italia”, togliendogli motivatamente gran parte dei meriti che lui, con scarsa modestia, continua ad attribuire a se stesso. Ma la stroncatura più forte e pungente arriva dal premio Nobel ’98 per l’economia, Amartya Sen: “Ha adottato politiche economiche che definirei semplicemente sciocche”. Bocciatura senza possibilità di appello per lui e per il suo bocconiano Governo non pronunciata, stavolta, da qualche “arrabbiato”, bensì da un premio Nobel per l’economia.

Altra novità mancata riguarda Grillo e il suo M5S. Il comico contestatore a 360 gradi, dopo aver incassato qualche buon risultato alle amministrative, si gasa al punto da considerarsi “Duce”, fallendo clamorosamente la prova di democraticità del proprio Movimento. Inizia a bacchettare alcuni dei suoi, colpevoli di utilizzare le proprie sinapsi per ragionare sui fatti. Non soddisfatto, li espelle. Fa passare come un enorme risultato le ridicole primarie on-line alle quali hanno partecipato poche centinaia, forse qualche migliaio di persone le quali nutrono, peraltro, non pochi dubbi circa l’esito. Alla faccia della democrazia telematica. Forse intriso di vergogna per la figuraccia, Grillo minimizza e, a colpi di censura, taglia a raffica interventi sul sito del Movimento, non proprio gratificanti per lui e la sua combriccola. Ma non solo. Nel solco della più classica, andreottiana ipocrisia politica, nega sue stesse affermazioni rese pubblicamente e immortalate in memorie SD di innumerevoli smartphone e videocamere. Con molta probabilità, Grillo è contrariato per la data delle elezioni che, dovendosi tenere a fine febbraio, non gli consentono di emulare la “campagna del grano” nella quale venne immortalato Mussolini a torso nudo a far sfoggio di virilità in un giugno assolato. Il vecchio Istituto Luce continuerà a diffondere quelle immagini mentre il moderno YouTube non potrà fare altrettanto col “mancato trebbiatore di grano” Grillo. L’uomo recupera il gap, però, proponendo l’eliminazione dei sindacati, scimmiottando appunto Mussolini il quale attuò la cosa per davvero. Dopo la traversata a nuoto dello Stretto di Messina, si possono comprendere le regioni per le quali finisca con l’andare a consolarsi a Casa Pound. Altro che tsunami tour, come annunciato; la questione somiglia molto più alle onde sollevate da chiassose anatre nelle pozze melmose del cortile di qualche cascina ligure, effluvi compresi. Insomma, un Grillo vecchio almeno quanto Mastella.

In quanto a Ingroia, avrebbe meritato il massimo rispetto non solo per i propri trascorsi ma, soprattutto, per la proposizione iniziale pronunciata in occasione della presentazione del suo Movimento: “Chiedo ai segretari dei partiti che ci appoggeranno di fare un passo indietro”. Ops! I segretari di quei partiti appaiono candidati in collegi considerati blindati. Insomma, anche Ingroia ha dovuto ammainare la bandiera del rinnovamento e della rivoluzione sociale sull’altare del realismo. Tuffo nel passato aggravato da miopi e, per sua fortuna, declinate aperture nei confronti del movimento di Grillo, quintessenza del qualunquismo più sterile, dunque, lontano anni luce dalle sensibilità di una sinistra onesta e genuina.

Stupisce costatare quanto ogni novità invecchi a vista d’occhio in questa Italia sempre pronta alla protesta contro tutto e tutti, ritrovandola, poi, immancabilmente serva, quando non schiava, di atavici vizi e bassezze di ogni sorta ma, per fortuna, anche memore a volte di qualche rara, rarissima virtù su cui far affidamento per il futuro. 


Leggi l'articolo completo e i commenti