In urbanistica tutto è possibile; a volte serve solo l’Utopia

par Luciano B. L.
mercoledì 3 agosto 2011

Idem, per risolvere in direzione ostinata e contraria i problemi aquilani.

Nel fotomontaggio che riproduce a L'Aquila la “Casa Danzante" realizzata a Praga da Frank O. Gerhry si coglie un interessante messaggio. Giacché, ci dà il senso del compiuto e d’un “come era e dove era” dialogante con la memoria d’un passato recente. In primo piano, i cassonetti per la raccolta indifferenziata della monnezza. Sullo sfondo, la famosa architettura che sembra stata ispirata dai volteggi della coppia Ginger e Fred, mentre sappiamo essere stata intesa per fissare l'attimo appena precedente il crollo d’un edificio “bombardato”, che appoggiandovisi lesiona gravemente quello accanto. Tuttavia, nel prefigurare il risultato dell’incontro tra la risolutezza indigena e la spregiudicatezza da archistar, questa raffigurazione immaginaria della realtà appare anche fuorviante.

Adesso, L'Aquila non ha alcun bisogno né di "allegoriche" raffigurazioni né di alcuna nuova costruzione che, per necessità od interesse, purtroppo sta sorgendo qua e là (nel centro ed in periferia), su e giù (nei rilievi e negli avvallamenti), dentro e fuori le aree indicate da un Piano Regolatore anacronistico. Perché, nella città e nel suo territorio non servono nuove abitazioni: le case costruite per l’emergenza dal governo si stanno svuotando al ritmo d’una al mese ed ora ne risultano quindici (da 80 persone ciascuna) teoricamente vuote. Uffici ed opifici si dovrebbero ricavare non in nuovi stabili, ma con il recupero e valorizzazione dell’esistente. Forse, mancano opere pubbliche? Magari serve pure un Guggenheim Museum? Allora, nel chimerico fotomontaggio si poteva inserire quello realizzato dallo stesso architetto a Bilbao, dove sapevano bene come si deve ristrutturare e/o ri-costruire una città.

Shigeru Ban aveva compreso bene le necessità aquilane ed inizialmente progettò l’Auditorium, non come una costruzione totalmente nuova su un’area completamente libera, ma con il recupero della rimessa della metro di superficie. Gli fu impedito d’operare come aveva fatto in altre opere innovative, già realizzate in varie parti del mondo. A L’Aquila “accettarono” (perché donata) soltanto una nuova edificazione dove permangono i pilastri cavi di "cartone pressato", ma si perde il potenziale innovativo insito nel primo progetto: oltre il recupero dei materiali, viene meno quello delle strutture esistenti, e soprattutto ora manca il recupero partecipato della comunità intera (non solo d'universitari) ai lavori di ricostruzione urbana che l’architetto giapponese ha sempre sollecitato ed ottenuto al suo fianco nell’esercizio d’un magistero prevalentemente esercitato proprio nei luoghi colpiti da calamità naturali.

Se a L’Aquila “preferiscono” il contributo d’archistar più à la page, allora quello che andiamo a proporre per non posare sulla sabbia altri edifici inutili sarà solo l’ennesimo “buco nell’acqua”, ma ci preme comunque mettere agli atti dell’Assemblea cittadina quanto ci sentiamo di proporre, in direzione ostinata e contraria, per la soluzione dei vari problemi urbanistici aquilani che vengono al pettine dopo più di due anni dal sisma, perché forse la “nave è senza nocchiero” o poiché il passato non insegna a prefigurare il futuro.

[continua]


Leggi l'articolo completo e i commenti