(In)ter(per) culturando: la rappresentazione teatrale ’Servi’ di Marco Rovelli - II parte

par BarbaraGozzi
giovedì 11 marzo 2010

Prosegue l’esposizione dei motivi che mi sembrano importanti, per i quali vale la pena di assistere allo spettacolo teatrale ’Servi’, attualmente al Teatro della Cooperativa di Milano (QUI la prima parte della trattazione, link al Teatro, lo spettacolo e l’autore tra le fonti - n.d.r.).
 
Persone e corpi.
Rovelli si impone sul palco. E’ in scena anche quando non c’è. Il suo entrare e uscire, dire e accompagnare, suonare e cantare poi ricominciare; tutto questo ne fa sentire il peso, di corpo e affondi.
Si sente che è di una creatura sua, che sta scarnificando parti, con forza, ma col tempo giusto, che accelera e rallenta, respira.
Si sente che c’è molto altro, oltre la rappresentazione e questo sentire è prezioso perché si aggancia all’immediatezza citata nelle precedente parte. Il ‘resto oltre’ lo si rintraccia nel libro, se se ne sente l’esigenza, indubbiamente ‘non tutto il resto’ ma una serie molto rappresentativa di quelle servitù che lo spettatore impara presto a capire ed afferrare assistendo allo spettacolo. Schegge concrete parziali, e imperfette.
Ma non c’è solo Marco Rovelli.
‘Servi’ non è un assolo. Il palco è pieno di musica di carne grazie agli interventi di Lara Vecoli, violoncello, e Davide Giromini, tastiere e fisarmonica (chitarra e voce di Rovelli).
Poi c’è Mohamed Ba. Senegalese, emigrato in Francia poi in Italia, il 31 Maggio 2009 è stato aggredito a Milano, alla fermata di un tram (da Nazione Indiana, ‘lettera al mio aggressore’, link tra le fonti – n.d.r.). Lo racconta lui stesso, (dell’aggressione, degli iter burocratici, gli aiuti e non-aiuti) in uno dei ‘blocchi’ dello spettacolo. E lo racconta in ‘certo modo’. Così come interpreta altre parti, muta espressioni, movimenti, linguaggi del corpo, toni. La sua presenza sul palco si fa via via sempre più necessaria, intensa. Sebbene valutare le capacità recitative di chiunque non rientri nelle mie competenze, ciò che arriva, la padronanza di scene, ruoli e parole dimostrata da Mohamed Ba è notevole.
 
Semplicità.
Il palco è spoglio. Ci sono sedie che si muovono, due contenitori non identificati in un angolo, un asse di legno posato sul muro dietro il palco. L’ossatura è semplice. Si tratta di contenere, non abbellire o attirare attenzioni diversamente perse. Si tratta di fornire basi sceniche elementari, nude, esattamente come lo sono storie, voci, suoni e sospensioni. La semplicità scenica si riflette anche sulle rappresentazioni. Marco Rovelli e Mohamed Ba sono tanti personaggi, sono corpi in movimento, voci, ma lo sono non per ‘costruzioni d’apparenza’, bensì per sostanza. Non sono gli abiti, a cambiare, piuttosto i sensi, le espressività. Semplicemente essendo, dicendo, stando o spostando(si), lo spettatore si abitua a cogliere i cambiamenti, segue virate, messaggi e riflessioni. Allo stesso modo le contaminazioni musicali, di chitarra, fisarmonica e violoncello si inseriscono senza fronzoli, potenti, asciutti.
 
 
Contenuti.
Qui si apre una botola fonda, dalle dimensioni imprecisate (e imprecisabili, io credo).
Non soltanto per il lavoro di Rovelli, poi convolato nella pubblicazione Feltrinelli.
Ma per tutta una serie di riflessioni, diramazioni, implicazioni anche personali, individuali che lo spettacolo sollecita (più esattamente ‘impone’, se si resta in quell’ascolto non faticoso fisicamente ma impegnativo su altri piani).
La messa in scena di storie diverse, sequenze che spezzano la linearità, spostano angoli, ruotano inquadrature; scatena un ‘effetto collaterale’ di grande impatto sullo spettatore: la personalizzazione del sociale.
Termini come ‘clandestini’, ‘lavoro nero’ ma anche ‘paese sommerso’, ‘illegalità’, ‘permesso di soggiorno’, ‘immigrati’ e molti altri, evocano concetti troppo spesso, troppo facilmente astratti. Il ‘sociale’ si dice, come fosse un’entità dai contorni sfocati, vicina quel tanto che basta per pronunciarla ogni tanto (magari di riflesso, dopo un intervento mediatico), ma lontana per carne e sangue con la realtà di ognuno. Eppure da questo spettacolo si esce col peso della soggettività, con la consapevolezza che non è solo ‘male sociale’ dunque di tutti nell’assunzione di responsabilità di facciata ma di nessuno sul piano pratico privato, non solo. Prima ancora, è ‘male individuale’, tragedia vicinissima, basta affacciarsi al cantiere in fondo alla via, basta notare i volti nei parchi o negli ospedali, quanto oltre le porte di cucine e aree private di ristoranti e locali vari, basta non cancellare dalle scene che viviamo, ogni giorno, quei dettagli che pur essendoci si preferisce non memorizzare.
I contenuti di questo spettacolo sono radici dure, ramificate, il cui peso dipende da quanto ci si lascia avvolgere, ma che ci siano queste radici è innegabile.
I contenuti, ciò che Rovelli ha da dire, sono il motivo principale per cui questa rappresentazione non lascia indifferenti (in entrambi i sensi di marcia, per impossibilità di lasciarsi scivolare addosso ciò che si sente ma anche per il suo opposto, per rifiuto generale, deciso, a ’entrarci’).
 
In sala, sabato scorso (6 marzo 2010), ci saranno state centocinquanta persone, stima approssimativa imperfetta, sala piena comunque. E gli applausi durante e alla fine dello spettacolo parlavano probabilmente molto più chiaramente di questa trattazione.
 
‘Servi’ è uno spettacolo da vedere. Novanta minuti circa del prezioso tempo di chiunque.
Ma ‘Servi’ è anche un piccolo gesto, verso sé stessi, verso un ascolto, un’apertura a ciò che (volenti o nolenti) siamo e che attorno ci danza tra mestieri, desideri sacrificati per un pugno di monete promesse, tempo consegnato a fatiche, vite vissute come oggetti produttivi, privati di dignità, sentimenti, piccole quanto grandi gioie, rispetto eppure vissute accanto ai nostri gomiti (sanguinando, sperando, colpendo, subendo, chinando teste e pregando un dio o magari semplicemente altri occhi, che hanno pupille, iridi e palpebre).
 
Un emigrante è come un non-luogo ambulante, non si accorge dove finisce, non parla la lingua del luogo, e tantomeno può immaginare le sue memorie. Sono le sue braccia a contare, il suo corpo-macchina. E un corpo-macchina non ha radici, è un dispositivo che dev’essere fungibile.
(Servi, di M.Rovelli, Feltrinelli, pag.80)
 
 
DATI TECNICI
SERVI
Di Marco Rovelli e Renato Sarti
Con Marco Rovelli, Mohamed Ba
Musiche in scena di Marco Rovelli (chitarra e voce), Lara Vecoli (violoncello) e Davide Giromini (tastiere e fisarmonica)
Regia Renato Sarti
 
 
 
Link
Il sito del Teatro della Cooperativa.
Scheda dello spettacolo ‘Servi’ dal sito del Teatro della Cooperativa.
‘Servi – Il paese sommerso dei clandestini al lavoro’, Feltrinelli serie Bianca, prima edizione settembre 2009, seconda edizione marzo 2010: su Ibs, su LaFeltrinelli.it, su Bol.
Marco Rovelli: su wikipedia, il sito, il blog, su MySpace, su Nazione Indiana.
Lettera al mio aggressore di Mohamed Ba, su Nazione Indiana.

Leggi l'articolo completo e i commenti